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Renzi assume 403 boiardi di stato per salvare i conti di Firenze

Giulio Bucchi
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La guerra santa per salvare le casse di Firenze (e di altri 65 comuni d'Italia) non conosce riposo. Questa volta l'arma segreta del governo, costretto a ballare sul precipizio degli scioperi e dell'imminente tornata elettorale, è una sanatoria (temporanea?) firmata da tre ministri in prima linea nella difesa del premier Matteo Renzi. Maria Carmela Lanzetta (Affari regionali), Maria Anna Madia (Lavoro) e Pier Carlo Padoan (Economia e Finanze), stilografica in resta, il 12 maggio scorso hanno preparato una circolare (la 60/gab) che serve a disinnescare clamorose proteste, come quella dei dipendenti comunali della Capitale, in questa vigilia elettorale. Ad accenderle era stato l'articolo 4 del decreto legge 16/2014, il cosiddetto Salva Roma. Che, prima dei tre ministri, qualcun altro aveva già provato a modificare. Un tentativo smascherato il 7 aprile dal capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta, su Twitter: «Passata norma che dispone condono tombale per somme illegittimamente versate ai dipendenti pubblici. Scritta per Comune Firenze?». Nel capoluogo toscano, di cui Renzi era sindaco, i problemi sono serissimi: 25 dirigenti e sindacalisti di Palazzo Vecchio dovranno rispondere davanti alla Corte dei conti per indennità e premi pagati «a pioggia» e, sembra, illegittimamente, ai dipendenti comunali. Il capo dei pm contabili fiorentini, Angelo Canale, ha stimato un possibile danno erariale di 50 milioni di euro. Ma il problema dei «salari accessori» distribuiti dalle amministrazioni al di fuori delle norme vigenti per semplice calcolo clientelare riguarda molti altri comuni: la Corte dei conti ha avviato 66 istruttorie (24 nella sola Toscana), anche in capoluoghi come Roma, Reggio Calabria e Vicenza. Un assalto alle casse comunali che era stato scoperto dagli ispettori del ministero dell'Economia e delle Finanze (Mef) che, inviati a Firenze, avevano denunciato che il pagamento dei bonus avveniva «in modo e quantità difformi rispetto» alla legge e avevano chiesto ai dirigenti la restituzione delle somme indebitamente pagate. Così, nel capoluogo toscano e in altri municipi, i manager chiamati in causa dal Mef e dalla Corte dei conti avevano minacciato di chiedere indietro gli emolumenti distribuiti e non dovuti. A Firenze c'è chi si è visto presentare un conto da 18 mila euro e alcune coppie di dipendenti hanno pensato persino di accendere un mutuo.  A tutto questo aveva provato a trovare una soluzione un deputato vicentino del Pd, Federico Ginato, con un comma ad hoc. Il suo sito descriveva così, in terza persona, l'intrepida azione: «C'è la norma salva-stipendi. Gli è costata 5 giorni di lavoro e una notte in bianco, ma spera di aver trovato la soluzione. (…) Se l'emendamento sarà confermato dal voto in aula non ci saranno né recupero somme, né prelievi dalle casse del Comune». Ginato aveva fatto inserire nel famigerato Salva Roma una nuova formulazione di un emendamento secondo la quale «gli atti e gli accordi già applicati o in applicazione alla data di entrata in vigore della nuova normativa restano validi ed efficaci». Nel Pd (a Firenze si vota il 25 maggio) speravano di aver trovato la «quadra». Sino a quando Brunetta e questo giornale non hanno svelato il trucchetto. Per questo il governo il 9 aprile è stato costretto a fare marcia indietro, ammettendo che la norma «allargava troppo le deroghe facendola assomigliare a un condono». Un mese dopo i tre ministri, di fronte a focolai di protesta e timori di barricate in decine di Comuni, a cominciare da Roma e Firenze, si sono inventati un «comitato temporaneo (…) con il compito di fornire indicazioni applicative (del decreto, ndr) nei tempi più rapidi possibili». Una specie di gabinetto di guerra che spieghi a sindaci e dirigenti come arginare le proteste, interpretando nel modo più favorevole il Salva Roma o Salva Firenze, come qualcuno l'ha ribattezzato. Tutto questo ovviamente dopo le elezioni. Infatti nelle ultime righe della circolare i tre artificieri del governo precisano che, in attesa delle indicazioni del comitato, «è rimessa agli organi di governo degli enti una prima valutazione delle modalità attuative dell'articolo 4 del citato decreto-legge, finalizzata ad assicurare la continuità nello svolgimento dei servizi necessari e indispensabili, anche attraverso l'applicazione, in via temporanea e salvo recupero, delle clausole dei contratti integrativi vigenti, ritenuti indispensabili a tal fine». Il terzetto, in sostanza, concede agli amministratori, per evitare scioperi e blocco dei servizi, di continuare a erogare (illegittimamente) i «salari accessori» ai dipendenti. Una mancia elettorale che sa di beffa e che gli ignari beneficiari non immaginano che forse dovranno restituire («salvo recupero» si legge nella circolare). Ma come è possibile che al Mef abbiano accettato un simile compromesso, visto che i loro ispettori da anni contrastano le storture della contrattazione decentrata e i premi generalizzati? Un funzionario di via XX Settembre fa notare che proprio il 6 maggio è stato bandito un concorso atteso da anni per 403 dirigenti a tempo indeterminato di seconda fascia dell'Agenzia delle entrate, gli esattori che permettono con il loro lavoro di rimpinguare le casse dell'Erario. Un concorsone che è in netto contrasto con le dichiarazioni di Renzi sui dirigenti pubblici, tanto che il premier, nella proposta di job act presentata a gennaio, aveva annunciato trionfalmente l'«eliminazione della figura del dirigente a tempo indeterminato nel settore pubblico». Un proponimento più volte ribadito. All'Agenzia delle entrate ribattono che il concorso andava bandito per legge entro 30 giugno 2013, che è già stato prorogato di un anno e che il decreto che lo indice, firmato il giorno delle dimissioni di Enrico Letta dall'ex ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni, ha superato il vaglio della Corte dei conti. Inoltre la metà dei dirigenti sarà selezionata tra i funzionari dell'Agenzia. Ciò non toglie che, nonostante i proclami del premier, il governo sfornerà 403 nuovi dirigenti a tempo indeterminato. Con le elezioni alle porte, questa è l'ennesima piroetta di Renzi. C'è da essere certi che non sarà l'ultima. di Giacomo Amadori

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