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Immigrazione, navi private in aiuto dei barconi

Andrea Tempestini
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Che si sappia in tutta la costa nord dell'Africa e, soprattutto, in quella sub sahariana: giungere in Europa a bordo di schiatte guidate da inqualificabili soggetti meglio noti come “scafisti”, non solo è possibile in virtù dell'indecisionismo italiano nel sistema pubblico ma anche grazie all'ingresso sul mercato dei privati. Semplificazione necessaria per introdurre il contesto entro il quale giunge, attraverso l'agenzia Redattoresociale.it, l'ultima novità in tema di risposte alla piaga dell'immigrazione incontrollata. Ci penserà infatti “Phoenix 1”, 43 metri di natante battente bandiera maltese, a individuare e avvicinare i barconi zeppi di poveri cristi e non: fornirà loro assistenza, cibo, acqua, coperte, medicinali, insomma affiancherà le navi di Mare Nostrum impegnate nella tragica conta. Dei morti e dei vivi. Si chiama Moas, acronimo inglese di “Migrant offshore aid station”, roba che a primo acchito sa tanto di Bono Vox e di senso di colpa occidentale. Ne ha parlato l'altro giorno una delle più antiche agenzie di stampa, la Reuters, oltre al The Guardian. Che hanno descritto il progetto di Regina Catrambone, imprenditrice italiana di stanza a Malta, dove vive da circa 7 anni insieme al marito Christopher, ingegnere statunitense. La facoltosa signora folgorata dal Papa sulla via di Lampedusa («Quando vedemmo il suo sguardo fisso nella telecamera mentre diceva che chiunque potesse far qualcosa per i migranti aveva il dovere di farlo, fu allora che prendemmo la decisione») ha ingaggiato l'ex comandante delle forze militari maltesi Martin Xuereb, che guiderà e sarà responsabile dell'originale imbarcazione. La nave è stata acquistata in Virginia (Usa), ribattezzata “Phoenix 1”, ed è equipaggiata con una pista per due aerei senza piloti, i famosi droni che hanno non solo la caratteristica di potersi muovere liberamente e a velocità sostenuta rispetto a qualsiasi nave (arrivano a quasi 240 chilometri orari), ma soprattutto la possibilità di individuare le carrette del mare che trasportano di tutto, dal disperato vero al delinquente vero. Il problema sono le soluzioni. Quella ideata a suon di dollari, euro e/o sterline dai coniugi italo-statunitensi è, in linea teorica e volendo pure pratica, encomiabile, se non fosse che rappresenta un incentivo ulteriore: partiamo, mal che vada ci recupera qualcuno, pubblico o privato cambia poco. Fermo restando che si tratta anche di capire, ove mai avvenisse, dove verranno trasportati gli immigrati una volta recuperati in acqua da “Phoenix 1”. Gli ideatori di questo primo servizio privato - scommettiamo che qualcuno lo trasformerà in business vero e proprio? - sostengono che si limiteranno ad affiancare i soccorritori ufficiali e faranno da trait-d'union dinamico con i centri di salvataggio. Come pure ci sarebbe da chiarire la relazione potenziale con chi quell'umanità dolente la conduce sulle nostre coste: in parole povere, con gli scafisti come la mettiamo, che fanno, li arrestano loro? Con quale autorità o mandato? Si capisce che l'idea è bella, ma poi c'è la realtà. Quanto sia costata non si sa, si parla di milioni di euro sin qui impiegati. Dice la signora Catrambone: «A breve partiremo con il crowdfunding, una colletta, per imbarcare nuovi finanziatori privati. Se avessimo fatto il contrario avremmo perso tempo e qui c'è da fare in fretta». Giusto, ma cosa? Considerate le premesse “culturali” dell'operazione (Moas è una delle tante Ong “Boldrini's way” che girano negli ambienti giusti del volontariato, dove si usano poco i termini straniero o immigrato per non dire clandestino, l'unico ammesso è migrante) ci si lascia assalire dall'interrogativo se da questo primo esperimento ne deriveranno altri: pare quasi una legalizzazione del traffico di esseri umani. Di impiegare analoghi sforzi per andare alla fonte di questo flagello non se lo sogna nessuno. Forse è poco chic, sicuramente è più caritatevole. di Peppe Rinaldi

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