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Italia, la città dei terroristi islamici. La sorpresa: dove stanno i macellai

Andrea Tempestini
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Se Brescia fosse l'inferno islamico il quartiere del Carmine sarebbe sicuramente il suo girone più profondo. Una porzione di città che abbraccia il centro storico, dove la periferia non è ancora profonda e la città ha imparato a convivere con zone d'ombra in mano all'immigrazione. Brescia come Bruxelles? Le strade del Carmine come quelle di Molenbeek, il quartiere dove arruolano militanti della jihad? Il paragone è esagerato, ma è inevitabile pensare alla banlieue quando una città passa dall'1% di stranieri del 1990 al 19% della fine del 2014 con 37mila immigrati residenti nel capoluogo concentrati in uno spicchio di terra di pochi chilometri quadrati. Non solo. Proprio al Carmine (dove ogni cento abitanti almeno sessanta sono stranieri) dal 2010 è cambiata anche la presenza delle comunità, perché da una maggioranza di nordafricani si è passati ad una presenza più numerosa di Pakistani (nel 1991 erano 135, oggi sono 2.265 e rappresentano la più importante collettività straniera). Insomma, più che un quartiere "un porto di mare" dove i vecchi artigiani hanno lasciato vetrine a macellai arabi, phone center o negozi di spezie, frutta e verdura gestiti da indiani e pakistani al fianco degli oramai classici kebab. «Il Carmine è sempre stato un quartiere di facile entrata e facile uscita - così è descritta la zona nel progetto comunitario sull'integrazione Koinè -. L'ospitalità è una sua vocazione: dapprima erano le prostitute, quindi l'immigrazione del sud per arrivare in fine a quella islamica». Nata come zona industriale tra il XII e il XIII secolo, luogo di traffici e di commerci, di produzione artigianale e industriale, da sempre è considerato quartiere malfamato legato ad attività illecite. Non ha stupito, quindi, se proprio tra le vecchie case dove le "zie bresciane" adescavano i giovani all'inizio del novecento, a fine del 2009 Mohammad Yaqub Janjua, 60 anni, e suo figlio Aamer Yaqub, 31 anni, sono stati arrestati dalla Digos e dalla Guardia di Finanza (poi rimessi in libertà dal tribunale del riesame) perché ritenuti coinvolti nel filone che portava agli attentati di Mumbai del novembre 2008 (195 morti e 300 feriti). I Janjua, titolari della Madina Trading, con attività di money transfer, vivevano e lavoravano proprio al Carmine di Brescia, in via Garibaldi. Secondo l'intelligence dal cuore islamico di Brescia partirono i soldi per attivare i telefoni usati dai terroristi attentatori. Non solo. Dall'indagine è risultato che tra il 20 settembre ed il 25 dicembre 2008 la Madina Trading del Carmine aveva effettuato più di 300 trasferimenti di denaro verso il Pakistan a favore di persone indagate per terrorismo per un totale di quattrocentomila euro tramite il sistema Hawala. Di più. A cento passi dal Madina Trading, al civico 108 di via Milano tra la corte della casa di ringhiera rimessa a nuovo da qualche anno, si nascondeva anche Essaadi Moussa Ben Amor Ben Ali, nato il 4 dicembre del 1964 a Tabarka in Tunisia ma bresciano d'adozione, latitante dal 2009. Il nome del tunisino-bresciano compare nella "lista nera" dei terroristi globali diffusa da Washington dopo il 2001 per bloccare il finanziamento del terrorismo internazionale. Peccato che almeno nel caso di Essadi, conosciuto anche con gli alias Abdelrahmman, Bechir e Dah Dah, la lista sia arrivata tardi. Il cinquantenne tunisino è stato «indagato e perseguito dalle autorità italiane come leader di militanti attivi in Italia e in Europa», ma è riuscito a scapapre. Durante l'inchiesta italiana sarebbero emersi indizi tali da far ritenere Essaadi uomo-ponte per il «supporto logistico in Italia alle reti terroristiche collegate con al Qaeda tramite il traffico di documenti falsi e la ricettazione». Supporto logistico che passava dal Carmine e dai suoi money transfer. Intanto, per ammissione del procuratore generale Pierluigi Dell'Osso, tutto ciò che riguarda il fondamentalismo islamico «è stato ripreso in considerazione». Un'attenzione in più per un quartiere divenuto crocevia di fondamentalisti, dove nel 2012 sono stati fermati anche due coniugi H.M. (marocchino) e M. I. A. (italiana) per un filone investigativo incentrato prevalentemente su italiani convertiti alla religione islamica. E sulle stesse strade, nella piazza all'ombra della Loggia dove gli immigrati clandestini avevano chiesto la sanatoria dei permessi di soggiorno appollaiandosi per due settimane su una gru, sarebbe passato pure Anas, il giovane marocchino partito per la Siria nel 2013 per diventare uno “dei martiri di Maometto”. Lui con il nome di Abu Rawaha Al-Itali, cioè “l'italiano”, è diventato il primo kamikaze italiano della lista siriana partito dal "porto" del quartiere Carmine. di Beppe Spatola

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