Cerca
Logo
Cerca
+

Pansa: Lo confesso, per la prima volta ho paura. I jihadisti dell'Is peggio di Hitler e Stalin

Giulio Bucchi
  • a
  • a
  • a

Devo confessare ai lettori di Libero che per la prima volta nella vita ho paura. Non mi era mai capitato di provare il timore ansioso che avverto oggi. Neppure da ragazzino mi ero spaventato nel sentire cadere le bombe sulla nostra città. E nemmeno quando imperversava il terrorismo e avevo scoperto che una banda rossa si era decisa a uccidermi. Ma adesso è diverso. Sento un'angoscia profonda per quanto vedo alla televisione sulla guerra in Iraq e le immagini che riassumono la ferocia di quel conflitto: le decapitazioni dei prigionieri occidentali caduti nelle mani del Califfato islamico.  Sondaggio: i tagliagole jihadisti sono peggio di Hitler e Stalin? I video trasmessi dalle nostre tivù mancano della sequenza più nefanda, quella del boia vestito di nero mentre taglia la testa al prigioniero e poi la mette in mostra sul tronco della vittima. Ma i minuti che precedono questa barbarie stanno sotto i nostri occhi. L'ostaggio con la testa rasata guarda nel vuoto. La tunica arancione che gli è stata fatta indossare, come se fosse un terrorista rinchiuso nel carcere americano di Guantanamo. Il volto del boia nascosto da un cappuccio integrale e nero. Le ultime parole pronunciate dall'uomo destinato a morire non si odono, ma ti obbligano a domandarti se starà dicendo addio a una persona amata, oppure se sarà ancora in grado di affidarci una protesta per chiudere la propria vita di uomo pacifico. Quella di un giornalista che aveva scelto di raccontare la follia di un'epoca dominata di nuovo dalla barbarie. Sono questi filmati a dimostrarci che il Califfato dalla bandiera nera è una dittatura peggiore delle altre che abbiamo conosciuto nel Novecento. Per un motivo che prevale su tutti: i fanatici dell'Isis non combattono per la propria vita, ma soltanto per uccidere gli infedeli. Amano la morte, la vogliono sbandierare, godono quando riescono a renderla uno spettacolo da offrire al mondo. Di solito le dittature non si comportano così. Uccidono gli avversari in segreto. I nazisti di Hitler hanno ammazzato milioni di ebrei nel chiuso di lager ben protetti e invisibili. I comunisti di Stalin accoppavano i nemici nelle segrete della Lubianka o nelle baracche dei gulag sorti nel gelo della Siberia. I boia del Califfato seguono la strategia opposta: offrono al pubblico lo spettacolo delle loro imprese da macellai. Siamo di fronte a un paradosso. Lo Stato islamico che il Califfo sta costruendo è una struttura medioevale risorta nel Duemila. Le sue leggi sono fondate sulla sharia, “la via da seguire” che indica la regola giuridica divina. Se commetti anche soltanto un piccolo furto, ti verrà tagliata la mano destra. Se sei una donna e non ami più il tuo padrone, sarai lapidata. Se sei un ostaggio occidentale, non ha importanza che tu sia soltanto un fotoreporter o un cooperante senza armi: ti staccheranno la testa e il tuo cadavere sarà mostrato a milioni di persone, prima fra tutte la tua famiglia. Il paradosso è che questo Califfato da età della pietra conosce e pratica la comunicazione globale odierna. Le sue armi sono i filmati pronti per le tivù mondiali, l'atomica del web, la diffusione di un terrore senza confini. Viene da pensare che il passo successivo sarà registrare le atrocità compiute nelle camere di tortura. Per dimostrare all'Occidente che il Califfo e i suoi killer considerano gli esseri umani animali destinati al massacro. Questa catena senza fine di omicidi può essere fermata? In teoria sì. Dopo tante incertezze, e forse tante negligenze degli apparati di intelligence, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, al vertice della Nato in Galles ha detto: «Affrontare l'Isis è una priorità assoluta. Sono sicuro che si formerà un'ampia coalizione per annientare i tagliagole del Califfato». Ma lui per primo sa che non basteranno i raid aerei. Sarà indispensabile una guerra sul terreno, con le tante difficoltà immaginabili. Prima di tutto, la guerra contro il Califfato risulterà molto lunga. Lo stesso Obama ha ammesso che durerà ben oltre il suo mandato presidenziale. L'Occidente sarà in grado di resistere per parecchi anni su un fronte così lontano? Nessuno può dirlo anche perché dovrà battere un esercito in grado di condurre un conflitto asimettrico: quello di uno Stato che utilizza l'arma del terrorismo. L'Isis ormai controlla un territorio molto vasto, fra la Siria meridionale e l'Iraq occidentale. Qualche giorno fa, intervistato dal telegiornale di Sky, un esperto ha sostenuto che l'esercito del Califfato presto disporrà di un territorio grande all'incirca quanto la Francia. Forse non è così. Ma è indubbio che oggi l'Isis si comporti già come un'entità statuale. È padrone di banche e di pozzi petroliferi, impone le tasse, controlla il passaggio di merce attraverso le sue frontiere. Ha una gerarchia molto articolata, che comprende anche esperti di media, operatori televisivi, medici, addetti alle finanze. In più ha dalla sua la barbarie. I Paesi che accetteranno di combattere nell'alleanza che Obama vuole allestire sono consapevoli di iniziare una guerra che non prevede prigionieri. Provate a immaginare che cosa accadrebbe se qualche soldato americano o di un altro Paese occidentale fosse catturato. Che cosa pensate che gli accadrà? Anche loro verranno mandati davanti a una telecamera, inginocchiati, nella mani di un boia che gli staccherà la testa, dopo averlo sgozzato con il coltello. Daniele Mastrogiacomo, l'inviato di Repubblica in Afghanistan sequestrato dai talebani, ha visto uccidere in quel modo due suoi accompagnatori e ha rischiato di fare la stessa fine. Ha raccontato che cosa si prova in quei momenti atroci: «So bene che cosa significa. È una sensazione che non scorderò mai. Pensi soprattutto che quanto sta accadendo non ha senso… Si racconta che la mente abbia ancora qualche secondo di vita dopo che la testa si è staccata dal corpo. Non credo che si trovi la forza e il tempo per elaborare un pensiero. Aspetti che la tua vita finisca, mentre una videocamera fissa queste ultime immagini destinate al mondo dei vivi e messe in rete dai tuoi carnefici. Mentre il sangue cola sulla terra del deserto e gli spettatori urlano “Allah akbar!”, Dio è il più grande». Adesso i media dicono che la decapitazione toccherà a un prigioniero britannico: David Cawthorne Haines, 44 anni, esperto di sicurezza al servizio delle organizzazioni non governative, rapito nel marzo 2013. I boia dell'Isis l'hanno già mostrato al mondo. Il volto emaciato e sfibrato. La solita tunica arancione. In ginocchio accanto al carnefice che lo solleva afferrandolo per un lembo della mantella destinata ai condannati a morte. Qualche esperto sostiene che Haines sia già stato ucciso. E che la diffusione del video avverrà sulla base di un'accorta scelta di tempo. La mia paura di uomo pacifico deriva anche dall'ignorare quanto accadrà. Nell'ultima guerra mondiale i civili sapevano all'incirca che cosa stava avvenendo sui tanti fronti: chi vinceva e chi perdeva. Oggi viviamo nel buio più fitto. E dall'oscurità filtra una previsione che gela il sangue. I superstiti di Al Qaeda, messi nell'angolo dall'uccisione di Osama Bin Laden, si preparano a ritornare sulla scena con un attentato spettacolare. Vale la pena di ricordare che tra quattro giorni sarà l'anniversario dell'11 settembre 2001, l'attacco alle Torri gemelle di New York. di Giampaolo Pansa

Dai blog