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Facci: vi racconto il giorno delle monetine a Craxi, quando nacque l'antipolitica

Vent'anni fa: la folla livorosa davanti all'Hotel Raphael, l'ascolto tv impazzito, il discorso alla Camera, tra polizia e telecamere, moriva il craxismo e si chiudeva la Prima Repubblica

Giulio Bucchi
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di Filippo Facci L'episodio delle monetine contro Craxi all'Hotel Raphael (30 aprile 1993, vent'anni ieri) viene evocato e ritrasmesso di continuo perché resta il principale simbolo di un decennio, l'iconografia del passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica: eppure le vere ricostruzioni storiche, al di là di raffazzonati copia/incolla giornalistici, latitano.  Persino il discorso alla Camera pronunciato il giorno prima in un silenzio tombale (discorso citatissimo e poco letto) viene ancor oggi confuso con un altro del luglio precedente, e questo per la semplice ragione che Craxi, il 29 aprile 1993, lo riprese testualmente. Furono i giorni dell'assedio all'Hotel Raphael e del linciaggio come estetica rivoluzionaria, forse la nascita ufficiale dell'antipolitica. Craxi scrisse il suo discorso a Monte Mario, a casa di un'amica. Il discorso pareva funzionare, ma il calcolo dei voti pro e contro non lasciava scampo. Antichi favori andavano nella direzione di un appoggio segreto dei Radicali e della parte di Rifondazione comunista legata ad Armando Cossutta e al Manifesto, ma non bastava. Mancavano almeno 58 voti.  In piedi nell'emiciclo - Il 29 aprile Craxi si affacciò nell'Emiciclo vestito di blu e con una cartellina rosa sotto braccio. Dopo il suo discorso, il voto fu una scheggia: la voce del presidente della Camera Giorgio Napolitano scandì la concessione di sole due autorizzazioni a procedere su sei, fatto che viene sempre trascurato: sì alle indagini per corruzione a Roma e per finanziamento illecito a Milano, no per corruzione «in luogo non accertato» e per il reato di ricettazione. C'era una logica, non era «un'assoluzione» come si è sempre detto. Ma lo spettacolo stava per cominciare: striscioni, mazzi di volantini gettati tra i banchi, un deputato leghista che incrociò le braccia simbolizzando le manette, pugni battuti sui banchi, e grida, «Ladri di regime», «Mafiosi», il presidente della Camera che ordinò di sgomberare le tribune, e tafferugli, risse tra parlamentari. Tutti i volantini e i cartelli di protesta erano già stati preparati, dunque preventivati. Il democristiano Francesco D'Onofrio fece capire che i voti a favore di Craxi erano giocoforza venuti anche dall'opposizione, e Gianfranco Fini perse la calma: «Se dici queste cose sei un mascalzone, siete dei ladri che avete difeso altri ladri». Più tardi annuncerà una lettera al procuratore capo di Milano  Francesco Saverio Borrelli in cui esprimerà «solidarietà e sincero apprezzamento», e soprattutto auspicherà che sia superato «l'inammissibile scudo dell'immunità parlamentare». In quelle ore, del resto, lo chiesero un po' tutti.  La sinistra ritirò il sostegno al governo Ciampi alle 20 e 22: il nuovo Consiglio dei ministri non si era neppure insediato. Il verde Francesco Rutelli era stato ministro dell'Ambiente per poche ore, tanto che il premier Carlo Azeglio Ciampi sarà costretto a un rimpasto prima ancora di aver ricevuto la fiducia dalle Camere. Presto il voto segreto per le autorizzazioni a procedere verrà abolito, e i lavoratori, il 1° maggio, l'unica festa vorranno farla a Craxi. Dirà Giovanni Pellegrino, Pds, allora presidente della giunta per le autorizzazioni a procedere del senato: «Noi della sinistra consentimmo che venisse cancellato l'istituto dell'autorizzazione a procedere, strumento a tutela dell'autonomia del potere politico rispetto al potere giudiziario. E si aprì la strada alla mattanza di partiti di governo. Avevamo una sponda al Quirinale, e l'ansia di raccogliere i frutti sul piano elettorale era tale che facemmo in modo che quel Parlamento venisse sciolto anticipatamente». Eppure, quel 29 aprile, Bettino Craxi ancora non sapeva che cosa l'avrebbe atteso l'indomani. Cenò all'hotel Raphael, tranquillamente, con pochi fedelissimi e con la donna che amava. Sembrava tutto normale. Più volte raccontato o più spesso mostrato, il racconto del giorno successivo riposa anche sui ricordi della giornalista che raccolse quelle immagini ormai celebri, la giornalista Rai Valeria Coiante: «Eravamo a Piazza Navona, c'era la manifestazione del Pds, facevo le mie interviste di routine. Arriva la notizia: negata autorizzazione a procedere per Craxi. Si avvicina il collega Fabrizio Falconi del Tg4: «Andiamo al Raphael, si sta radunando un sacco di gente». C'eravamo solo noi, quel giorno, io col mio operatore e lui col suo. A un certo punto il cordone dei poliziotti mi allontana dall'operatore, io comincio a dargli istruzioni col microfono, lui era in cuffia, era l'unico modo per comunicare con lui in quel casino: «Rimani sempre acceso, prendi tutto, fammi quelli coi cartelli e con le mille lire... ». La folla urlava sempre di più, un mare di persone si riversava nel vicolo stretto, la polizia infilava i caschi e parava gli scudi. Craxi esce dal portone, esplode un boato, «Eccolo eccolo» urlo nel microfono, mi abbasso e supero il cordone di polizia, corro verso la macchina di Craxi. Vengo investita da una tonnellata di metallo vario in tondini, monete, «stanno tirando di tutto! Pezzi di vetro, monete, tirano di tutto!»... Minoli al montaggio - La sera, in montaggio, mentre ero lì che assemblavo il pezzo e pulivo la pista audio, entra in sala Gianni Minoli (allora creatore del celeberrimo Mixer e direttore di Raidue) . «Fammi vedere», dice. «Aspetta, sto levando l'audio e sto mettendo gli effetti». «No, fammelo vedere così». Va be', penso io, la voce la levo dopo. «Ok, è incredibile. Perfetto. Va bene così, non toccare niente». «Ma sembro ‘na pazza... fammi levare almeno dove sfondo i livelli». «Non se ne parla, va in onda così». Quel filmato fece sette milioni di telespettatori al primo passaggio». Largo Febo, cioè la piazzola davanti al Raphael, in realtà è un buco che le immagini di repertorio restituiscono ogni volta molto più grande: non è che ci stia tutta questa folla, tra auto e polizia e telecamere. Eppure, oggi, a sentir le testimonianze, erano tutti lì. C'erano quelli del Msi, della Lega, c'erano i reduci di un comizio di Achille Occhetto in Piazza Navona, passarono di lì anche molti studenti del Liceo Mamiani che erano in corteo: nell'insieme fu più che sufficiente per far scrivere a tutti che quella era «l'Italia». Il che, tutto sommato, era drammaticamente vero.

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