Beppe Grillo figlio illegittimo della sinistra e di Berlusconi

di Andrea Tempestinidomenica 25 maggio 2014
Beppe Grillo figlio illegittimo della sinistra e di Berlusconi
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Fanno benissimo Renzi e Berlusconi a scagliarsi quasi ogni giorno contro Grillo, principale avversario di entrambi. Sembrano tuttavia ignorare un aspetto non secondario: quel groviglio di rancori che va sotto il nome di Movimento cinque stelle è figlio loro, o per esser più precisi delle forze politiche che essi rappresentano. Il genitore uno - mater semper certa - è madama sinistra. Abituata a cambiare spesso abito e acconciatura, dal Pds al Pd, mai ha smesso di vezzeggiare girotondi, popoli viola e proteste arancioni, legittimando così ogni velleitarismo ribellista, che oggi ha finalmente trovato un contenitore nel quale riconoscersi. Ricordiamo Bersani, parlandone da vivo, che saliva sui tetti in omaggio all’Onda studentesca. Era l’autunno 2008, pare un secolo fa; quei ragazzi, oggi cresciuti e spesso disoccupati, votano Grillo, che ha fatto propri i loro argomenti d’allora, giovanilismo compreso, di cui il governo Renzi costituisce un esempio da manuale. Per decenni, dai più svariati e non di rado avariati pulpiti della sinistra, sono piovuti sermoni su green economy, fonti rinnovabili, commerci equi e solidali, eccetera; non c’è da stupirsi se la somma degli ambientalismi ideologici trova generosa ospitalità nel Casaleggio pensiero. Idem per il pauperismo, con annessa condanna dei consumismi (escluso, vai a capire perché, quello di prodotti informatici, gratificati di democratica benedizione benché venduti da multinazionali arcicapitaliste e prodotti in Oriente da lavoratori privi di diritti elementari). La sua versione postmoderna è la decrescita felice, cioè l’accettazione volontaria di miseria e sottosviluppo, architrave della grillenomics, la dottrina economica del grillismo, che dalla sinistra tradizionale ha ereditato anche il pregiudizio antimoderno spacciato per progressismo: è la cultura del no, dai No tav al rifiuto sistematico di qualsivoglia infrastruttura e industria, fino al No Expo, condiviso con i barricadieri di Tsipras. Non basta: l’ossessione manettara di Grillo, che fa sembrare Di Pietro un convinto garantista, discende in linea diretta dal mantra giustizialista che la sinistra ha recitato allo sfinimento negli ultimi vent’anni: gli avversari sono nemici che meritano soltanto la galera. Il genitore due della bizzosa creatura è papà Silvio. Lui per primo scese in campo contro i partiti tradizionali, dipingendoli quali sentine d’ogni nefandezza, salvo poi arruolare residuati assortiti della prima repubblica. La parola partito gli ha sempre indotto l’orticaria, tanto che mai ha figurato nella ragione sociale del suo, si chiamasse Forza Italia o Popolo della libertà, concepito come mero comitato elettorale, leggero, leggerissimo. Grillo ha compiuto il passo successivo, smaterializzando il movimento nella rete, uno scudo opaco dietro il quale nascondere, con la scusa della democrazia diretta, uno spietato centralismo, lo stesso in virtù del quale anche l’ultimo dei consiglieri comunali berlusconiani doveva ottenere l’investitura da Arcore, dove si sceglieva e si sceglie l’intera classe dirigente. È stato ancora lui, l’ex Cav, a fondare il proprio successo sulle pulsioni antipolitiche: si è sempre definito, anche dopo lunghissima permanenza in parlamento, un imprenditore prestato alla politica, sottintendendo che era cosa sporca, praticata da chi mai aveva lavorato in vita sua, una turba di sfaccendati mestatori buoni a nulla. Adesso non ci si può stupire se il tribuno ligure afferma che basta una casalinga per fare il ministro dell’economia. Infine, il culto della personalità e il mito dell’uomo solo al comando. Anche alle elezioni comunali di Vanzaghello si votava per Berlusconi e non importava chi ci fosse in lista a rappresentarlo. Grillo fa lo stesso: a ogni competizione elettorale, e le europee non fanno eccezione, presenta una pattuglia di sconosciuti smandrappati, tanto è lui a far man bassa di consensi. Sono state insomma le due culture politiche fino a ieri prevalenti nel Paese a creare l’humus nel quale germoglia rigogliosa la mala pianta grillina. Se ne rendessero conto, da una parte e dall’altra, potrebbero forse escogitare qualche efficace disinfestante, prima che sia troppo tardi, come in un vecchio film di fantascienza, Il giorno dei trifidi, in cui si narra di una nuova specie vegetale che rischia di soffocare la vita sulla terra. di Renato Besana