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Beppe Grillo rilancia: "Ci vuole il reddito di nascita". Il M5s? Peggio dei comunisti

Andrea Tempestini
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Articolo 1 della Costituzione: «L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro». Beppe Grillo, leader del primo partito italiano, ieri: «Siamo davanti ad una nuova era. Il lavoro retribuito, e cioè legato alla produzione di qualcosa, non è più necessario una volta che si è raggiunta la capacità produttiva attuale». Dunque il salario è un'anticaglia ottocentesca: al cibo, ai vestiti e a tutto il resto si provvederà con «un reddito per diritto di nascita». Leggi anche: Grillo, la rottura con Di Maio sul governo: retroscena bomba Se ne ricavano un po' di considerazioni. La prima è che la sinistra tutta lavoro e Costituzione (il fondatore e il direttore di Repubblica, la capa della Cgil Susanna Camusso, le madonne laiche tipo Barbara Spinelli, i giuristi e i magistrati progressisti che scrivono sul Fatto, Pietro Grasso e tutti gli altri) dovrebbe scappare a gambe levate da uno così, anziché sgomitare per portare il suo omettino a palazzo Chigi. Ma è chiaro che lo fanno non per amore del comico genovese e di quello irpino, bensì per fermare la marcia su Roma di Matteo Salvini, e quindi la coerenza ideologica è un accessorio al quale si può rinunciare. Seconda considerazione, più importante: siamo davanti a una mutazione del pensiero di Grillo, che ancora una volta corre più veloce della sua creatura politica. L'assegno di cittadinanza è già roba vecchia, il nuovo imperativo è questo reddito di nascita, regalo della società post-lavoro in cui, anche se non lo sappiamo, viviamo già oggi. La differenza è che per avere il primo occorre fare qualcosa, per quanto poco. Iscriversi ai centri per l'impiego, frequentare corsi di formazione, accettare prima o poi uno dei lavori che ti vengono proposti: cose così. È una generosa misura contro la povertà, limitata, almeno in teoria, a chi ne ha bisogno. W LA DISOCCUPAZIONE Il reddito di nascita invece è un diritto, come quello di voto e la libertà di parola: basta esistere per averlo. E siccome il Movimento Cinque Stelle è un contenitore pressoché vuoto nel quale Grillo infila le proprie idee, la domanda non è se, ma quando questa novità apparirà nel programma della forza politica che si prepara a governare l'Italia. Non è tutta farina del sacco di Grillo, ovviamente. Così come l'idea della decrescita felice l'aveva presa dall'economista francese Serge Latouche, questa l'ha scopiazzata, con doverosa citazione, dalla sociologa Dominique Méda, pure lei transalpina. «Le repubbliche e le società contemporanee si dichiarano fondate sul lavoro, presentando questo dato come naturale, certo e immutabile, sino a fare del diritto al lavoro il diritto per il cittadino di realizzare se stesso. Su questo mito dei tempi moderni si sono costruite ideologie e teorie, poi crollate di fronte alla crisi dell'occupazione. (…) Ma il problema non è e non è mai stato soltanto economico, tecnico o politico, né il lavoro è necessariamente il fondamento delle società», scrive costei nel libro Società senza lavoro, una sorta di elogio filosofico della disoccupazione. Da qui Grillo decolla per atterrare nel paese di Bengodi. «Siamo condizionati dall'idea che “tutti devono guadagnarsi da vivere”, tutti devono essere impegnati in una sorta di fatica perché devono giustificare il loro diritto di esistere», scrive sul proprio blog. Ma «una società evoluta è quella che permette agli individui di svilupparsi in modo libero, generando al tempo stesso il proprio sviluppo. Per fare ciò si deve garantire a tutti lo stesso livello di partenza: un reddito, per diritto di nascita». Soltanto così, conclude, «la società metterà al centro l'uomo e non il mercato». Bellissimo, ma chi paga per questa utopia? Da dove arriva quel denaro che ci spetta per diritto? Grillo non imbratta il suo mondo delle meraviglie con simili tecnicismi, ma la risposta è facile: provvederà lo Stato, che a sua volta incasserà soldi tassando le aziende, le quali se li riprenderanno vendendoci i loro prodotti. I MAGNACCIONI Una gigantesca partita di giro, resa più fluida dalla carta moneta che intanto un illuminato governo a Cinque Stelle provvederà a stampare. E questo facendo diventare tutti ricchi e felici. Senza che ci sia inflazione, senza preoccuparsi del debito pubblico, senza che le imprese scappino in Paesi dove la mungitura fiscale è meno cruenta. Sembra neo-marxismo, ma è peggio. Karl Marx diceva «da ciascuno secondo le proprie possibilità, a ciascuno secondo i propri bisogni» e una certa etica del lavoro nelle sue idee c'era, accanto alla mistica della fabbrica operaia. Quella di Grillo è la società dei magnaccioni, «a noi ce piace de magna' e beve e nun ce piace de lavora'», elevata a trattato teorico oggi e a programma di governo forse già domani. L'avesse tirata fuori prima delle elezioni, avrebbe preso ancora più voti. di Fausto Carioti

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