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Se Draghi non stamperà monetail bazooka non basterà

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Senza i poteri della Fed, le azioni limitate della Bce potrebbero trasformare l'Europa in una grande Grecia. Con il rischio di pagare un'inflazione incontrollata

Andrea Tempestini
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di Ernesto Preatoni* Dieci giorni fa il consiglio della Bce ha approvato quello che gli investitori definiscono una sorta di «bazooka» antispread: la Banca Centrale Europea può infatti intervenire senza limiti sul mercato secondario dei titoli di Stato da 1 a 3 anni per difendere il differenziale tra i bund e i titoli di Stato dei Paesi periferici che oggi sono sotto il tiro degli speculatori. Quest'arma anti spread approvata dalla Banca centrale europea - che pure in qualche modo si dota di uno strumento in più per operare sui mercati - non colma però un gap fondamentale tra l'Eurotower e le altre grandi banche centrali, come la Federal Reserve: la Bce infatti, a differenza di quanto accade negli Usa, non può stampare moneta. Si tratta di un limite che rischia di portare la nostra economia e quella di tutta l'Europa sull'orlo del tracollo. Il bazooka di Mario Draghi, infatti, renderà forse un po' più tollerabile il peso del debito pubblico per i Paesi periferici - come il nostro - che però, con la firma del Fiscal Compact si sono già legati le mani e non saranno in grado di onorare i propri impegni con i creditori. Il motivo? Oggi paghiamo mediamente il 4,4% di interessi su un debito pubblico che continua a correre e che, tra ottobre e novembre, dovrebbe toccare quota 2mila miliardi di euro (a cui dovrebbero essere aggiunti i debiti verso i fornitori, l'Iva da rimborsare e chissà cos'altro). Questo significa che quest'anno ci troveremo con 88 miliardi di euro di interessi da pagare. Le misure del governo Monti hanno l'obiettivo di permetterci di raggiungere un avanzo primario del 3,6% sul nostro prodotto interno lordo (obiettivo estremamente ambizioso). Questo significa che per il 2012 noi dovremmo avere una disponibilità di 50 miliardi di euro di interessi da pagare. Dovrebbe essere  chiaro a tutti che oggi mancano all'appello 38 miliardi di euro (nella migliore delle ipotesi) indispensabili per arrestare la crescita del debito. Peggio ancora: qualora davvero decidessimo di rispettare gli accordi fissati con il Fiscal Compact, dovremmo non solo bloccare la crescita del debito pubblico, ma addirittura ridurlo del 3% per 20 anni. Questo significa che per il primo anno dovremmo trovare altri 60 miliardi di euro da impiegare nella lotta al debito. Complessivamente oggi all'Italia mancano ben 98 miliardi di euro, 38 per fermare la crescita del debito, 60 per ridurlo. Con grande difficoltà abbiamo varato una manovra da 21 miliardi e non saremo sicuramente in grado di realizzare una correzione di portata simile in futuro. Non solo: le condizioni alle quali sarebbe attivato il bazooka della Bce saranno estremamente differenti rispetto a quelle con cui oggi opera la Federal Reserve. In America infatti la Fed è in grado di immettere liquidità nel sistema senza alcuna condizione mentre invece in Europa le condizioni saranno due: primo, che lo Stato in difficoltà chieda formalmente di essere aiutato. Secondo: che accetti condizioni di rigore che saranno sicuramente simili a quelle messe a punto per la Grecia.  L'unica vera speranza oggi è di rilanciare fortemente la crescita. Quanto dovrebbe crescere l'Italia per assicurarsi l'uscita dal tunnel della crisi? Moltissimo: bisognerebbe essere in grado di provocare un nuovo boom economico nel Paese. Infatti, anche supponendo di riuscire a creare in brevissimo tempo uno sviluppo del 2% l'anno - che porterebbe il Pil a crescere dagli attuali 1.600 a 1.632 miliardi di euro -, il debito pubblico, che è oggi sfiora 2.000 miliardi, ma che sarà l'anno venturo di 2038 miliardi, rimarrebbe comunque al 125% del prodotto interno lordo. Inoltre, la riduzione del tasso di interesse da pagare è sicuramente importante, purtroppo però i giochi sui tassi sono pressoché fatti e supponendo che nei dodici mesi successivi l'Italia paghi 2 punti in meno sul collocamento del debito pubblico dell'anno venturo (di circa 300 miliardi), risparmieremmo 6 miliardi. L'ammontare da pagare in interessi sarebbe quindi non di 88 miliardi ma di 82 miliardi e ciò nonostante la vita media del debito pubblico sia stata ridotta da 7,2 a 6,6 anni. In una situazione così drammatica nei prossimi anni non saremo in grado di ripagare il debito pubblico, a meno che questo non venga svalutato attraverso un processo di inflazione controllata, un processo che sarebbe stato di facile attuazione economica due o tre anni orsono. Infatti un'inflazione al 10% - dal momento che i titoli di Stato per l'86% erano collocati a tassi fissi (3,6%) - avrebbe prodotto una svalutazione del debito di circa il 7% l'anno. In tre anni ci sarebbe stata una diminuzione del debito pubblico del 20%. Abbiamo assistito invece ad una rivalutazione del debito pubblico di oltre il 10%.  L'inflazione in questo caso non sarebbe stata la classica “tassa” fatta pagare ai poveri - come si sente spesso dire - ma avrebbe consentito di penalizzare chi oggi vive di rendita, chi non investe in attività che potrebbero creare sviluppo nel Paese, ma preferisce impiegare il proprio denaro in Bot e Cct. Attraverso questa “inflazione programmata” si sarebbe infatti stabilita una sorta di tassa sui portatori di debito pubblico che avrebbero ricevuto un tasso di interesse inferiore all'inflazione. Dall'altro lato niente avrebbe impedito di adeguare i salari dei lavoratori dipendenti a un tasso che fosse in linea con l'inflazione.  L'inflazione, infine, avrebbe avuto il grande pregio di rilanciare gli investimenti, che oggi mancano drammaticamente in Italia: negli ultimi quattro anni sono diminuiti del 20%. Meno investimenti significano minore sviluppo e minore capacità di competere sui mercati. Ecco perché la parola d'ordine oggi per noi non dovrebbe essere ridurre il debito ma far ripartire gli investimenti e questi non torneranno a crescere fino a quando a ripartire non saranno i consumi. L'unica strada per far ripartire l'economia sarebbe immettere denaro sul mercato -  come ad esempio fa la Federal Reserve - in forti quantità. Questo tipo di politica oggi in Europa non è neanche presa in considerazione, anzi si combatte il mostro, l'inflazione, che in realtà non esiste.   Un'ultima considerazione: se le misure annunciate giovedì scorso verranno attuate, se cioè uno Stato chiedesse aiuto alla Unione Europea e quindi la Bce iniziasse a comperare titoli - supponiamo della Spagna per 200 miliardi - la sensazione è che la Banca Centrale Europea sterilizzerebbe questi 200 miliardi. Vale a dire che metterebbe in atto gli strumenti necessari per togliere questi 200 miliardi dalla liquidità del mercato, andando in questo modo a sottrarre risorse che oggi sono più che indispensabili per la crescita di cui tanto si parla ma che nessuno vede.  Confesso di avere tanta paura che l'Europa vada verso una catastrofe economica che sarà il preludio a una inflazione al di fuori di ogni controllo. Il mio timore, in conclusione, è che il tanto sbandierato bazooka rischi di essere un semplice palliativo e che a Draghi converrebbe dare la possibilità di utilizzare una zecca per stampare nuovo denaro, piuttosto che un'arma.

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