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L'Editoriale

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di Maurizio Belpietro

carlotta mariani
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Alle prossime elezioni Nichi Vendola pensa di candidarsi premier per il centrosinistra. Anche Pier Luigi Bersani dice di voler correre per l'incarico di capo del governo. Pier Ferdinando Casini  invece ritiene di non doversi scoprire fino a che non glielo chiederà qualcuno del Pd, il quale gli ha promesso un posto da Prodi nella nuova coalizione. Gianfranco Fini al contrario è incerto,  non avendo ancora scelto se diventare  presidente del Consiglio oppure presidente della Repubblica. Anche Walter Veltroni non sa bene che fare: vorrebbe smettere di scrivere lettere, ma non gli è chiaro su cosa puntare, in dubbio tra il dicastero per l'Africa e quello per il cinema. Chi invece ha deciso quale sia il suo futuro è Massimo D'Alema, che per sé sogna sette anni sul Colle, al posto di Napolitano. Francesco Rutelli sta invece sfogliando la margherita, indeciso tra il ministero degli Esteri e quello dell'Istruzione. Aspirazioni ne coltiva pure Luca Cordero di Montezemolo, ma lui non si accontenterebbe di  niente di meno di un incarico da primo ministro. Naturalmente semplifichiamo, ma non molto. Perché a ben guardare la strana alleanza che si va formando contro Berlusconi c'è il rischio che ci siano più capi che voti. Di certo ci sono troppi galli nel pollaio e, nel caso di vittoria, più candidati che posti da occupare.  A tavolino l'intesa sembra facile, ma accontentare tutti lo è di meno. Ne sa qualcosa il vecchio Prodi, che sulla questione delle poltrone ci ha rimesso per ben due volte la sua, costretto a interrompere le legislature dopo soli due anni di governo.  Anche allora le ambizioni erano numerose e Romano aveva tentato di soddisfarle tutte, regalando i posti chiave ai capi dei partiti. L'assicurazione sulla vita però non ha funzionato e ora la sinistra ci riprova, promettendo in caso di vittoria ministeri a chiunque, probabilmente anche a Briguglio. Ovviamente non è detto che il gioco funzioni, anche perché vendere la pelle di Berlusconi prima di averlo abbattuto non è saggio. Ma quand'anche le cose andassero come qualcuno sogna, quanto durerebbe una simile compagnia di prime donne? Se le premesse sono i desideri di cui abbiamo dato conto, probabilmente non molto.  Litigano Berlusconi, Fini e Bossi che sono solo in tre a comandare, chissà che succederebbe se nella nuova armata progressista-industrial –postfascista fossero  una dozzina. Tempo due anni e saremmo d'accapo, con una maggioranza sfasciata e un'Italia messa peggio. Dunque, pur comprendendo le legittime aspirazioni di tutti, ci permettiamo un suggerimento, in particolare a Casini e Montezemolo, due che non si riesce di associare al resto della banda di sinistra. Visto che, al contrario di Fini, non sono mossi da un rancore personale con Berlusconi, facciano un accordo con il Cavaliere e traslochino nell'attuale maggioranza. Una volta fatta un'intesa che gli garantisca uno strapuntino di un certo prestigio, Pier Ferdinando potrebbe dare un puntello decisivo al governo e il presidente della Ferrari, in attesa di ascendere a incarichi più prestigiosi, potrebbe portare se non parlamentari almeno un po' di lustro, che di questi tempi non guasta. So che i due nuovi ingressi creerebbero dolore nel PdL e nella Lega, ma al punto in cui si è arrivati meglio un po' di mal di pancia che molto mal di testa. Perché è vero che il Cavaliere ha sette vite ed è sempre pronto a rimontare in sella, ma a forza di cadere da cavallo non vorremmo che alla fine la botta fosse tale da non farlo rialzare.

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