L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Provate a immaginare cosa succederebbe se io scrivessi di un magistrato che non ha la legittimazione storica, politica, culturale e anche morale per emettere una sentenza. Come minimo finirei querelato e sarei condannato a pagare un pesante indennizzo al giudice, ma è probabile che non mi sarebbe risparmiato neppure un soggiorno nelle patrie galere. Al contrario il segretario dell'Anm Giuseppe Cascini che ieri ha rivolto un attacco al governo, accusandolo di non avere titoli, né morali né politici, per fare la riforma della giustizia, ha ricevuto gli applausi della sinistra forcaiola e l'unico rischio che corre è di essere premiato con un bel seggio in Parlamento, come è già capitato ad altri suoi colleghi prima di lui, tra i quali Di Pietro e De Magistris. Altro che le sanzioni richieste da quei poveri ingenui di centrodestra, i quali hanno atteso quindici anni per decidersi a varare una riforma della giustizia. Chi tra le toghe si butta a sinistra non penalizza la carriera, semmai la migliora. Cascini fino a poco tempo fa era uno sconosciuto pm laziale, ma da quando si è messo a spararle grosse contro Berlusconi è inseguito da stampa e televisioni, le quali si contendono le sue interviste e le sue apparizioni in video manco fosse Naomi. Del resto il rappresentante dell'Anm non è il solo a godere della notorietà, dividendosi tra aule di giustizia e studi tv. C'è chi come il procuratore aggiunto di Palermo addirittura non si fa mancare i palchi delle manifestazioni anti Cavaliere, impipandosene di ogni critica e dei richiami all'imparzialità. Anzi: alle recriminazioni dei parlamentari di maggioranza, Antonio Ingroia ha risposto accomodandosi nel salotto di Michele Santoro per l'ennesima puntata contro il governo. Per lui, come per Cascini, il paravento è sempre lo stesso: anche ai giudici va riconosciuto il diritto di poter esprimere le proprie idee, dato che l'articolo 21 della Costituzione lo garantisce a chiunque, dunque anche a chi indossa una toga. Principio sacrosanto, che però i magistrati esercitano a proprio piacimento, esprimendo ciò che pensano senza freni, ma impedendo ad altri di fare lo stesso nel caso i giudizi li riguardino da vicino. Chi manifesta dubbi sul fatto che le opinioni dei pubblici ministeri influiscano sulle loro decisioni lo fa infatti a proprio rischio e pericolo, essendo noto che i procedimenti aventi per oggetto i pm sono i più spediti d'Italia, oltre che quelli in cui sono previsti i risarcimenti più elevati. Ma non si tratta della sola anomalia. Le toghe hanno anche una curiosa propensione ad applicare esclusivamente le disposizioni che convengono alla categoria, dimenticandosi delle altre di segno opposto. Tra queste una sentenza della Corte costituzionale di trent'anni fa, nella quale la suprema corte pur riconoscendo il diritto dei magistrati a dire la loro, subordinava le esternazioni al requisito di imparzialità e indipendenza. In essa la Consulta stabilì che i valori non fossero tutelati soltanto dalle leggi, ma anche dal comportamento degli stessi giudici, vietando l'esercizio anomalo e l'abuso del diritto alla libertà di manifestare le proprie opinioni. A quanto pare i verdetti non sono tutti uguali, ma ce n'è qualcuno più uguale degli altri. O forse meno: ecco perché in tutti questi anni hanno preferito dimenticarselo.