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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Andrea Tempestini
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Che cosa si fa in una famiglia quando c'è un evento eccezionale che rischia di ridurre tutti i suoi membri sul lastrico? A meno che non sia una casa abitata da pazzi o autolesionisti, ci si dà una mano, ognuno con la propria capacità e si cerca di superare la burrasca riducendo i danni. Questo fa una famiglia o quanto meno questo fanno le persone di buon senso, le quali si rendono conto che se la barca affonda loro affondano con essa. Evidentemente l'opposizione parlamentare in questo Paese non è composta da soggetti che ritengono di appartenere  alla stessa famiglia, ma neppure da persone di buon senso. Altrimenti i principali esponenti del Partito democratico non avrebbero detto ciò che ieri hanno detto, convocando per l'occasione addirittura una conferenza stampa. I capigruppo alla Camera e al Senato, Anna Finocchiaro e Dario Franceschini, insieme con il vicesegretario Enrico Letta e il relatore di minoranza alla manovra Giovanni Legnini, con compunta serietà hanno annunciato ai giornalisti che i democratici presenteranno pochi emendamenti alle misure decise dal governo. Si tratterà di modifiche  «qualificate», hanno aggiunto, precisando che le stesse non saranno oggetto di mercanteggiamenti con la maggioranza, alla quale però garantiranno tempi rapidissimi per l'approvazione della legge finanziaria. Apparentemente sembrerebbe una buona notizia. Finalmente il maggior partito di opposizione mette da parte l'antiberlusconismo e la rivalità per badare all'interesse collettivo e dunque approvare misure urgenti e necessarie a garantire la stabilità economica del Paese. Parrebbe la dimostrazione di una maturazione della sinistra, la quale nei momenti più gravi è capace di accantonare i propri scopi e interessi e di perseguire quelli comuni. Errore. La seconda parte della conferenza stampa ha chiarito cosa intendevano realmente dire i capoccia del Pd. Infatti, anche se la maggioranza e il governo accettassero tutte le condizioni poste dai progressisti, questi voterebbero comunque contro le misure approntate da Giulio Tremonti. Non solo. In sovrappiù i democratici chiedono, per tale sostegno alle gravi decisioni economiche, che Silvio Berlusconi si faccia da parte. Via, sciò. Le teste d'uovo di Bersani hanno dato i cinque giorni al Cavaliere: entro domenica se ne deve andare. Neanche le cameriere si licenziano così: in genere si concedono loro almeno otto giorni. Nel caso del presidente del Consiglio, invece, lo si vorrebbe in fuga come un ladro o un malfattore, insomma come quel tal presidente della Repubblica che fu cacciato dal Pci di notte e con indegnità, salvo poi scoprire che era innocente e meritava rispetto. Altro che unità nazionale e solidarietà fra i partiti in vista dei difficili momenti che attraversa l'Italia. La sinistra si rivela quel che abbiamo sempre sospettato, ovvero uno schieramento di irresponsabili, pronto a tutto, ma indeciso nei passaggi fondamentali. Del resto che c'è da aspettarsi da chi, come il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, mentre si decide del futuro del Paese se ne sta in Egitto a farsi bello accreditandosi come il prossimo presidente del Consiglio come da foto qui accanto? In queste ore ogni forza politica dovrebbe far quadrato e mettere da parte gli interessi di bottega. Questo è il Paese in cui le riforme necessarie a ridare competitività all'economia e a contenere gli sprechi non si fanno perché ognuno bada al proprio tornaconto. Non tocchiamo le pensioni, altrimenti i pensionati e i pensionandi non ci votano più. Non chiudiamo gli ospedali, se no la gente protesta. Non riduciamo le province e le poltrone degli onorevoli, perché i nostri ci si rivolterebbero contro. Nessuno dunque vuole assumersi la paternità delle decisioni, soprattutto se le scadenze elettorali incombono. Ma la crisi, l'urgenza delle scelte, dovrebbe imporre a tutti, destra e sinistra, di abbandonare la ritrosia e fare fronte comune. Dovrebbe. Ma non da noi. Dove in pubblico si dice una cosa e in privato si fa esattamente l'opposto. Per questo ci permettiamo un suggerimento. Invece di suonare la campanella sul Colle, con quei discorsi da buon padre di famiglia che a noi appaiono solo prediche inutili, il campanaro Giorgio Napolitano veda di parlar chiaro affinché il suo partito intenda. Tanto ormai le forme e gli equilibri istituzionali li abbiamo perduti da tempo (l'Espresso di casa De Benedetti l'ha addirittura incoronato re Giorgio, unico vero erede di casa Savoia). E dunque si dia una mossa. Chiami i vecchi compagni di merenda e spieghi loro come devono comportarsi. E poi, già che c'è, veda anche di dare una sistematina agli eccessi di alcune procure e agli sconfinamenti fra poteri. Magari non riuscirà a rimettere a posto tutto, ma almeno terrà in piedi la baracca. Insomma: vuol fare il re e il vero leader di questo Paese? Beh, allora si dia da fare, che di tempo da perdere non ne abbiamo. E a pensarci bene, neanche lui. Viva dunque Napolitano, l'uomo nuovo al comando. 

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