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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Andrea Tempestini
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Non passa giorno che qualcuno non chieda le dimissioni di Silvio Berlusconi. Ormai è una litania. Dall'opposizione ai giornali non si sente o si legge altro. Va bene. Mettiamo che domani il presidente del Consiglio faccia il richiesto passo indietro. Immaginiamo che, come svela Giuliano Ferrara, stanco e deluso decida di fare le valigie, vendendo le sue aziende a un oligarca russo e consegnandosi ai domiciliari in una delle sue ville di Antigua. Per lui i problemi sarebbero finiti: non dovrebbe temere l'esproprio dei suoi beni e neppure l'arresto. Superati i 75 anni non si finisce in carcere. Al contrario, per noi i problemi comincerebbero. Primo fra tutti, chi mettere al posto suo. Un professore o un politico? In queste settimane si è fantasticato molto attorno al governo tecnico e il nome più gettonato è quello dell'ex rettore della Bocconi, Mario Monti. Il docente ha un curriculum di tutto rispetto, ma ve lo immaginate mettere d'accordo Pd, Idv, Lega, Pdl e Udc? Alla presentazione del programma di lacrime e sangue, con l'inevitabile innalzamento dell'età pensionistica e la riduzione della spesa pubblica, chi gli darà i voti? Il Pd no, perché è schiavo della Cgil. La Lega no, perché schiava di Bossi. L'Italia dei valori no, perché il consigliere di Di Pietro è un ex della Fiom. L'Udc no, perché non vuole casini (con la c minuscola, ovvio). Il Pdl no, perché senza Berlusconi, e nonostante gli sforzi di Alfano, andrebbe in mille pezzi. Risultato? Il governo Monti durerebbe una settimana. Oppure un anno, ma a patto che rinunciasse a governare. Scartato il tecnico, resta il politico. Sì, ma chi? L'ex Guardasigilli sarebbe perfetto. È del Popolo della libertà e ha ricevuto l'investitura direttamente dal capo. A lui toccherebbe traghettare la legislatura per farla giungere a scadenza naturale. Tuttavia, c'è un dubbio. Perché Alfano dovrebbe riuscire là dove il Cavaliere ha fallito? Possibile che a un giovane siciliano riesca l'impresa di convincere un vecchio padano come Bossi? Il leader della Lega sulle pensioni non ci sente e a farglielo entrare in zucca non ce l'ha fatta neppure Tremonti, che del Senatur è compagno di merende. Dunque è assai probabile che Alfano si ritroverebbe nelle stesse condizioni in cui si è ritrovato il suo predecessore, ovvero non saprebbe a che santo votarsi per fare quelle riforme di cui il Paese ha bisogno. E santa Susanna Camusso non gli darebbe una mano. Altri ipotizzano la possibilità di far guidare l'esecutivo post berlusconiano al leader dell'Udc. Ma vi immaginate Casini che prende in mano la patata bollente del governo e vara una serie di provvedimenti impopolari ma necessari, tipo quelli che ci ha richiesto la Bce? È ovvio che l'ex ragazzo di Forlani non ci penserebbe un attimo a dire di no: ormai ha in testa solo il Quirinale e dunque non muoverebbe un passo che lo allontanasse dall'obiettivo. Via Monti, Alfano e Casini, chi rimane? In politica poco e niente. Ci sono Bersani e Vendola, ma il primo già fatica a tenersi in piedi dentro il suo partito e l'altro farebbe l'esatto contrario di quel che serve.  Restano gli imprenditori, cioè tutti quelli che affascinati dal successo politico di Berlusconi sognano di seguirne le orme. Ma anche qui siamo messi male. Come certi attori cui riesce di recitare solo in certi ruoli, Montezemolo è un uomo che può incarnare sogni di gloria, non promesse di sacrifici e dunque gli verrebbe difficile presentarsi in tv a illustrare un piano di lacrime e sangue. Non andrebbe meglio al suo socio Diego Della Valle, il quale oltre a prendersela con i politici (ormai è uno sport nazionale), finora non è riuscito a tirar fuori dalle Tod's nemmeno un suggerimento per far contenti i mercati e gli investitori internazionali. Anzi. A “Ballarò”, l'altra sera, ha pure affossato il timido tentativo del governo di licenziare i fannulloni, bacchettando il mite Sandro Bondi. Immaginiamo la gioia dei suoi colleghi imprenditori, di Marchionne che per questa ragione ha appena sbattuto la porta confindustriale. Certo, dicendo che non si può parlare di licenziamenti, l'uomo che cammina sui pallini ha ricevuto molti applausi in studio e da casa, ma non quelli di chi con un clic decide le sorti dei nostri titoli di Stato. A loro della claque importa poco. Interessa solo che l'Italia sia in grado di pagare gli interessi sui soldi che ha avuto in prestito. Insomma, il passo indietro di Berlusconi non garantisce che le cose vadano meglio. Semmai c'è il rischio che peggiorino, grazie a qualche furbone che, zitto zitto, si fa gli interessi suoi. La soluzione, in realtà ci sarebbe. Basterebbe che a Berlusconi subentrasse Berlusconi. Sì, ma quello vero. Quello che anche di fronte alle scelte più difficili aveva il coraggio di decidere. Silvio, se ci sei batti un colpo.

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