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La vera “Buona scuola” è disciplinante e severa: il libro di Cammilleri, "L'ombra sinistra della scuola"

Il fallimento completo dell'istruzione post'68

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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E’ incredibile come, nel 2021, resista ancora una mentalità secondo la quale, rendendo la vita facile ai ragazzi, a scuola, si farebbe loro un favore. Non si capisce in base a quale legge fisica, una preparazione a base di giuggiole e acqua di rose dovrebbe rendere idonei ad affrontare la vita che, come noto, è piena di dolori, difficoltà, frustrazioni, ostacoli. Ma che senso ha? Pensate che evitando  un brutto voto a un ragazzino, “per non traumatizzarlo”, secondo la solita espressione beota ripetuta a ogni piè sospinto, gli si possa risparmiare, per dirla con Amleto, “le frustate e le ingiurie del tempo, il torto dell’oppressore, l’oltraggio del superbo, le angosce dell’amore disprezzato, le lentezze della legge, l’insolenza delle autorità e le umiliazioni che il merito paziente riceve dagli indegni…”?

No. Anzi. Se non fosse chiaro, sul pianeta Terra la vita è dura e solo una scuola "tosta" e un’educazione severa - ovviamente evitando inutili eccessi e storture - rendono adatti e “resilienti” (per usare un termine oscenamente abusato) a questa avventura. Altrimenti, come succede oggi, si diventa “dislessici” a 8 anni, si va dallo psicologo a 12, e a 15 si prendono pillole per la depressione.

Diciamola tutta: la tragica realtà è che l’istruzione italiana post-‘68 è un fallimento totale e dobbiamo ringraziare la scuola mollacciona, chioccia, mammona, inversiva e “inclusiva” di Lucignolo, tanto per cambiare, di sinistra origine, che ha devastato più generazioni di una guerra mondiale.

Tra il prima e il dopo '68, un lucido spaccato è offerto dal volume “L’ombra sinistra sulla scuola” di Rino Cammilleri,  appena ripubblicato dal musicista Aurelio Porfiri (Chorabooks editore), di cui si parlerà giovedi 8 alle ore 18.00 sul canale “Ritorno a Itaca” QUI

Vi proponiamo qualche stralcio dall’introduzione.

 

“Correva l’anno 1968 d.C. e io frequentavo la Quinta A del liceo scientifico di una città del Sud. Il Corso A era il fiore all’occhiello del Preside. Forse per questo in Prima partimmo in ventotto e arrivammo in Quinta in undici ben distillati. La sezione era rigorosamente maschile, laddove alle altre si concedeva il «misto». In quel liceo i maschi dovevano venire in giacca e le femmine in grembiule nero con collettino bianco. Chi non era vestito secondo la regola non era ammesso in classe, e a casa prendeva le busse dai genitori per aver perso un giorno di scuola (altri tempi). La ricreazione era rigorosamente separata per i due sessi che ne fruivano - per maggior sicurezza - in piani diversi dell’edificio, con i Bidelli talvolta disposti a barriera in mezzo alle scale. A scuola era tutto vietato, e quel che non era vietato era obbligatorio. Si fumava nei cessi, pronti a gettar via la sigaretta se arrivava il Preside a controllare i tabagisti. C’era sempre qualche idiota che a un certo punto lanciava: «Il Preside! Il Preside!». E noi buttavamo la cicca (a volte ancora dolorosamente intera) nel buco alla turca. Ma non era vero, e finiva in insulti. Per sicurezza, allora, prima di rinunciare all’unica sigaretta di mezza mattina si tirava una buona boccata, si gettava un’occhiata di controllo e, se l’allarme era falso, si continuava a fumare. Una volta il falso allarme fu vero e io, dopo aver buttato l’unica Marlboro che possedevo nell’orina, nel voltarmi mi trovai col Preside a un palmo di naso. «Lei fumava». E io, d’istinto: «No, signor Preside, io non fumavo!». Mentre dicevo così, il fumo di quell’ultima boccata mi tradì, uscendomi dalle nari e dalla bocca (non avevo fatto in tempo a espirare). Mi presi un giorno di sospensione e mio padre mi riempì di mazzate, Ci davano del «lei». Esempio: «Lei è interrogato in latino, venga». Io: «Ma Professore, mi ha interrogato ieri!». Lui: «E chi mi vieta di interrogarla anche oggi? Non vuol venire? Due! Si accomodi». 4 C’era la palestra (uno spiazzo all’aperto), ma non le docce. Eppure tutti ci iscrivemmo in massa nel Gruppo Sportivo (a quel tempo se non facevi sport le ragazze manco ti prendevano in considerazione). Il Gruppo Sportivo, però, era da frequentarsi fuori dall’orario delle lezioni. Cioè dalle sette e mezza di mattina fino al suono della campanella (otto e mezza). Naturalmente, se arrivavi in classe in ritardo erano guai, visto che l’attività sportiva era guardata dall’alto in basso da parte degli Insegnanti di materie «vere». Così, si cominciava la giornata già stanchi e sudati. E la giornata era invariabilmente del tipo descritto nell’esempio su riportato. I genitori anche quelli ricchi – ci davano una cifra settimanale (risibile) uguale per tutti, «sennò li si vizia». Qualcuno riusciva ad arrotondare coi nonni. Chi aveva i nonni poveri o morti, pazienza. L’uguaglianza di restrizioni era tuttavia benefica, perché impediva il sorgere di frustrazioni di classe (sociale) in classe (scolastica). Anche nelle gite vigeva lo stesso apartheid tra maschi e femmine (però c’era maggior possibilità di manovra).

[…] Eppure quella specie di Gulag, cioè il mio liceo, presentava qualche vantaggio. Innanzitutto la selezione e la pressione quotidiana ci avevano resi (quasi) tutti bravissimi in (quasi) tutte le materie. Lo stesso negli sport. Eravamo tra i migliori della città, e qualcuno di noi anche della regione. Temevamo i Professori ma li stimavamo. Il Preside esercitava la stessa occhiuta vigilanza anche su di loro e cercava di attirare come Insegnanti nella scuola i migliori neo-laureati. Era un’autorità culturale in città e in ogni circostanza ci proteggeva, specie contro i rivali dell’odiato liceo classico. Era, tra l’altro, Presidente del circolo più esclusivo della provincia, dove potevano entrare solo i VIP locali. E noi, purché debitamente incravattati. Ci incoraggiò a creare il giornaletto scolastico e me ne affidò la direzione. Grazie a lui, non fu il solito ciclostilato, ma un vero giornale patinato, stampato in tipografia e con tanto di foto e sponsor pubblicitari. La pressione congiunta delle famiglie e della scuola cementarono tra noi undici della Quinta A un’amicizia (che durerà nei secoli) costellata di avventure e incredibili goliardate. Poiché era tutto vietato, dovevi sempre fare i salti mortali per tutto. Ricordo quel periodo come il più allegro e selvaggiamente spensierato della mia vita”.  

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