Cerca
Logo
Cerca
+

Arciduca Francesco Ferdinando, ritrovato a Udine il carro funebre

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Vai al blog
  • a
  • a
  • a

Le reliquie della Storia non tornano mai a caso: sepolte nell’inconscio collettivo, a volte riemergono “junghianamente” per darci un monito. Così, mentre il mondo rischia la Terza guerra mondiale grazie alla volenterosa collaborazione di Russia, Ucraina e Nato, è stata appena ritrovata, in tutta la sua maestosa eleganza neobarocca, la carrozza funebre che trasportò il feretro dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este. Come tutti ricordano, il suo assassinio, compiuto il 28 giugno 1914 a Sarajevo per mano dello studente Gavrilo Princip, fu la scintilla d’innesco per la Prima guerra mondiale.

Da almeno 25 anni, la carrozza giaceva nei depositi del Museo Etnografico di Udine, ma si deve allo storico dell’arte Fabio Franz averla riconosciuta come protagonista del corteo funebre più tragico della storia, causa simbolica della morte di 16 milioni di persone, tra militari e civili, nonché della dissoluzione di quattro imperi, l’asburgico, il tedesco, il russo e l’ottomano. Il riconoscimento è avvenuto grazie al confronto del carro con le foto dell’imponente corteo funebre svoltosi il 2 luglio 1914 per le strade di Trieste, allora austriaca: una celebrazione molto più solenne di quella che l’arciduca avrà nella sua Vienna.

Abbiamo potuto visitare il cimelio grazie al sindaco di Udine, Pietro Fontanini (Lega) che promette: "Stiamo lavorando per cominciare il prima possibile il restauro, in modo da rendere la carrozza fruibile a cittadini e turisti affinché possa ricordare le tragedie vissute dai nostri territori e ispirare tutti alla difesa dei valori della vita e della pace tra i popoli".

Così, accompagnati nel deposito dai tecnici del Comune, passando tra reperti della tradizione contadina e schegge di enormi granate, arriviamo all’angolo dove è custodita.

L’impatto emotivo è forte, soprattutto perché il pezzo presenta la patina di più di un secolo di storia. Il carro è di squisita manifattura italiana, anche se alcuni pezzi della meccanica – decisamente moderna per l’epoca - sono di fabbricazione tedesca. Il legno nero, una volta parzialmente dorato, è scolpito con cherubini, colonnine rastremate e arditi girali di acanto; il vetro che circonda la cabina, miracolosamente integro, è finemente smerigliato con figure di angeli e di santi. All’interno, abbandonata, una vecchia corona di alloro in bronzo: in quello stesso vano fu caricata la cassa con il corpo dell’Arciduca.

Non lo si sarebbe definito un “simpaticone”, Franz Ferdinand, ma era un principe di provata moralità e molto intelligente nonostante i ritratti superficialmente negativi che ne hanno fornito storici di sinistra come Percivale Taylor. Aveva sposato la contessa ceca Sophie von Chotkowa, un matrimonio morganatico perché la consorte non era di sangue reale: questo non andò mai giù agli austriaci.

Ma, dopotutto, Franz Ferdinand era solo il terzo in linea successoria, dopo il cugino Rodolfo che si suicidò (così si dice) a Mayerling nel 1889 e dopo il proprio genitore, fratello di Cecco Beppe, che morì nel ’96. Nel ’14, quindi, Francesco Ferdinando era da otto anni l’erede di un impero ancora miopemente bicipite fra Austria e Ungheria, scricchiolante da tempo sotto le pressioni separatiste di cechi, polacchi, ruteni, romeni, croati, slovacchi, serbi, sloveni e italiani.

L’arciduca era uomo tutto di un pezzo: molto militare, molto cattolico e tendenzialmente assolutista, andava d’accordo più con il Kaiser tedesco che con lo zio. Politicamente accorto e lungimirante, aveva già pronto un piano per rendere l’Impero asburgico una confederazione di stati (Vereinigte Staaten von Groß-Österreich): concedendo larga autonomia amministrativa ai popoli su base etnica, avrebbe disinnescato le polveriere irredentiste mantenendo l’Impero in pace e prosperità. Non per niente era detestato dagli Ungheresi, che avrebbero visto ridimensionato il loro ruolo, e dagli irredentisti slavi i quali intuivano il pericolo di una pacificazione che avrebbe demotivato le loro spinte centrifughe. Per questo motivo, in un attentato incredibilmente goffo e dilettantesco organizzato dal gruppo Mlada Bosna (Giovane Bosnia), Gavrilo Princip riuscì a cogliere il momento in cui l’arciduca, già scampato a un attacco con bombe a mano, era rimasto bloccato sull’auto del conte Harrach che cercava di fare manovra. L’attentatore si avvicinò, sparò al collo di Franz Ferdinand e, in modo crudelmente insensato, anche all’addome della duchessa.

"Sopherl! Sopherl! Sterbe nicht! Bleibe am Leben für unsere Kinder! - Sofietta! Non morire! Rimani viva per i nostri bambini!", implorava l’arciduca sostenendo l’amata consorte ferita, colei che aveva voluto sposare a tutti i costi nel 1900, nonostante il rango inferiore. Moriranno entrambi poco dopo, nonostante l’intervento dei medici.

Come ci ha poi mostrato la storica dell’arte Pamela Volpi, dell’Associazione culturale “Belcomposto”, a Trieste, presso il Museo Diego de Henriquez, c’è una carrozza molto simile a quella che trasportò la bara della duchessa Sofia, ma non è l’originale.

I feretri della coppia arciducale, vennero trasportati da Sarajevo al mare e poi imbarcati sulla corazzata Viribus Unitis, che era stata varata dallo stesso Franz Ferdinand nel 1911 con un nome non casuale, traducibile dal latino con “L’unione fa la forza”. (La nave sarà affondata dai nostri assaltatori, gli ufficiali di Marina Rossetti e Paolucci, con la “mignatta”, nel 1918).

I corpi dei coniugi assassinati giunsero a Trieste, sbarcando presso l’attuale Molo Audace; di questo storico evento esistono fotografie e filmati disponibili in rete.

Nel capoluogo giuliano la coppia imperiale ebbe i riti funebri più solenni: su due carrozze diverse della ditta Zimolo, i feretri sfilarono tra due ali di folla, da Piazza Unità alla Stazione Centrale, dove furono poi caricati sul treno per Vienna. La manifestazione tendeva propagandisticamente a giustificare il conflitto con la Serbia, una ritorsione che, incendiando il sistema di alleanze fra le potenze europee, probabilmente, sarebbe stata sconsigliata anche dal povero arciduca Francesco Ferdinando.

 

 

 

Dai blog