Rosy Bindi non esclude il ritorno
Nel campo allargato che Enrico Letta sta cercando di mettere insieme pescando anche nel Movimento Cinquestelle, non possono mancare i grandi ritorni: personalità del Partito democratico che, per un motivo o per l'altro, si sono ritrovate fuori dai giochi quando è arrivato il rottamatore Matteo Renzi a dire che bisognava svecchiare il partito e mettere in pensione chi era in Parlamento da troppo tempo. Tra chi si è trovato di troppo, in quel momento, oltre a Massimo D'Alema, Walter Veltroni, Piero Fassino, Pierluigi Bersani, il compianto Franco Marini, anche colei che tutti consideravano la pasionaria del Pd: Rosy Bindi da Sinalunga (Siena), già ministro della Salute e vicepresidente della Camera, presidente del Partito democratico (che aveva contribuito a fondare) fino al 2013, poi a capo della commissione Antimafia. Bindi arriva dalla Dc, è stata assistente universitaria di Vittorio Bachelet che le Brigate rosse le hanno praticamente ammazzato tra le braccia sulle scale della Sapienza. Insomma, Rosy è una fuoriclasse, transitata dalla Democrazia cristiana al Partito popolare quindi alla Margherita e al Pd, fino a che la nuova dirigenza ha pensato di potere fare a meno di lei e della sua chioma bianca. Della Bindi si è detto di tutto: che è brutta, fuori moda, antipatica e più simile a una suora che a una donna. Come se le suore non fossero delle donne. Insulti beceri e sessisti su cui Boldrini e compagne avrebbero dovuto scendere in piazza. Adesso, e qui sta la notizia, Bindi potrebbe rinnovare la tessera del Partito democratico che mesi fa aveva deciso di stracciare. L'ha detto lei stessa dalla Gruber a Otto e mezzo: <Non escludo di tornare. Vedremo come procede il nuovo percorso>. Quello intrapreso dal neosegretario Enrico Letta che sulle donne intende puntare, a prescindere dall'aspetto fisico e dalla corrente a cui provengono.