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E poi non c'è più Cattelan...

Solo il 12% di share: il flop di De grande, il programma del conduttore preso da Sky, è acclarato. Ma il suo vero problema è l'aver usato il mezzo pubblico per attaccare chi lo critica. IL'Alessandro non ha capito che è lui che si deve adattare alla Rai, e non viceversa

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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 Cattelan a "Da grande" Foto:  Cattelan a "Da grande"
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«Ma cosa vuol fare da grande Alessandro Cattelan?».

Nell’aprile 2020 ponemmo, su Libero, questo lacerante interrogativo, mentre lo stesso Cattelan, da un vidiwall nero come la pece, commentava il crepuscolo di E poi c’è Cattelan su Sky . E, be’, mai avremmo immaginato che il conduttore, poco dopo, sarebbe finito sul mercato; che l’avrebbe acquistato Raiuno a peso d’oro; e che, su quella domanda ci avrebbe costruito addirittura il programma della vita. Da grande. «Da grande» avrà pensato, ora, Cattelan «avrei volentieri evitato il floppone».

Ora, qui non si discute il fatto che lo strombazzatissimo show del sabato sera di Cattelan alla seconda puntata sia riuscito a far peggio che nella puntata precedente: 12.0% di share e 2.196.000 spettatori, distaccato nettamente dal trito Scherzi a parte che ha vinto la serata col 17.3% e 3.043.000. Né, qui, si rovista maliziosamente nelle aspettative di share del suddetto programma (16% come minimo). Programma che, pur supportato da una buona scrittura e scenografia al top di gamma, ha messo talmente tanta carne al fuoco –dalla Clerici a Michele Guardì a Bonolis, allo spettro ubiquo della Carrà- da aver incendiato il barbecue.

Nè, qui, si discute sulla presenza scenica, sui tempi televisivi, sulla marcia in più dello stesso Cattelan, ampliamente riconosciute dai suoi avversari; primo fra tutti quel Lucio Presta che insinuò il sospetto che l’enfant prodige di X Factor fosse un bluff vaporoso e corroso dall’invidia. E neppure toccheremo l’argomento dei social mal gestiti (perché la Rai non ci si dedica ma lascia usare l’Instagram personale di Cattelan?); o delle battute già sentite, tipo quella che l’Alessandro presentatore e anchorman «ha già l’età - 40- in cui Baudo, Mike, perfino Fazio erano già diventati padroni dei palinsesti generalisti», comparsa proprio nell’articolo di Libero di cui sopra. Ma, transeat,felici di aver fornito, a gratis, uno spunto narrativo. 

No, qui non si discute della (magra) performance di Cattelan. Qui ci soffermiamo sulla chiusura polemica del conduttore che ha usato il suo programma come un’arma impropria contro i critici. Birra in mano, sguardo fisso verso l’orizzonte perduto dell’ascolto, Cattelan immaginando un dialogo con la figlia ha affermato: «Da una settimana ricevo solo pernacchie, fanno tanto rumore, ma è solo aria. L’importante è fare quello che ti piace fare! Non importa cosa dice la gente». Una bella botta di narcisismo; lì mi si sono attorcigliate le budella. Perché le pernacchie, cioè le critiche, fanno parte del mestiere. Ale affermare di fottersene perché «l’importante è rimanere se stessi»: è la peggior lezione televisiva che possa passare dal servizio pubblico. Non siamo nella bolla fighetta di SkyUno laddove gli ascolti contano come le pernacchie (lì Cattelan faceva lo 0,5%% di share, 1.240mila spettatori, e lo faceva benissimo).

Qua ci muoviamo nel prime time di Raiuno, caro Cattelan. Ci vuole -come scrive Claudio Plazzotta- «una faccia da Raiuno» che non pensi di essere famosa solo perchè vagava sul satellite. Qui siamo nell’arena: i leoni affamati sono in grado di spolparti le ossa. Qui non esiste il cazzeggio di nicchia, sennò si va su Raitre o La7 dove Zoro comunque lo fa meglio. Da grande non innova il linguaggio ed è il solito vestito cucito sul conduttore che un tempo prometteva mirabilie; e che invece, adesso, come una specie di Fiorello fuori sincrono, si permette di dare una craniata stizzosa al pubblico che dovrebbe blandire. 

Certo, “svecchiare il target” invincibilmente legato alla tradizione di Raiuno costa fatica. E pazienti, coraggiosi tentativi. Per ora Cattelan viene ignorato dai 40enni che già lo conoscono ma che il sabato sera hanno altro da fare; ed è un oggetto misterioso nella diffidenza degli over 70 presenti nel week end. Eppure l’intelligenza è capacità di adattare la propria cifra stilistica alla rete che ti ospita, non il contrario; è emblematico il caso virtuoso di Serena Bortone passata con disinvoltura dal talk politico di Agorà su Raitre al contenitore Oggi è un altro giorno. Avvitarsi sul proprio ombelico è -diceva Fouchè-più di un delitto, è un errore. L’importante è rendersene conto in tempo…

 

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