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Avvocato di difesa, in tempo di referendum la serie tv che esalta il garantismo

Un prodottino Netflix di rara qualità: disvela i retroscena della giustizia; esalta gli ideali di eguaglianza; e smonta le tesi di un pubblico ministero in 5 minuti

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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The Lincoln Lawyer Foto: The Lincoln Lawyer
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Ci si perdoni lo spoiler, il necessario disvelamento della trama. Ma, insomma, ci sarà un motivo se, nel momento in cui in Italia si dibatte ferocemente sui referendum sulla giustizia, la serie tv The Lincoln Lawyer (Avvocato di difesa, titolo pleonastico e sgraziato, in Italiano) su Netflix schizzi al primo posto nelle classifiche e faccia impazzire pubblico, critica e, soprattutto avvocati.

Sarà che, appunto, alla fine dei suoi dieci episodi, il protagonista Mickey Haller, l’“avvocato delle Lincoln” –un genio del processo penale che ama lavorare in viaggio, sul sedile della sua auto che porta la targa “Non colpevole”- manda in galera un giudice corrotto e assassino della Corte Suprema, nera e donna, nel tripudio del politicamente corretto. O sarà che la figura di quest’avvocato losangelino ispirato a quello dei romanzi di Michael Connelly, affascina umanamente e tecnicamente. Umanamente perché è tutto tranne che un principe del foro classico: esce da una dipendenza da psicofarmaci, ha come collaboratori una (ex) drogata lesbica, una squillo e un detective hippie; è separato da una moglie che ama con figlia adolescente a carico; e riceve in eredità da un collega morto ammazzato tutti i suoi casi tra cui quello, pesantissimo, di un re dei videogiochi che avrebbe ammazzato la moglie e il di lei amante. 

E l’avvocato Haller affascina anche perché, tecnicamente, è un asso, roba che da rendere piccini piccini Perry Mason o il blocco degli avvocati rampanti in stile Harvard di Suit Per esempio: Haller, in un processo bagatellare di accusa per oltraggio al pudore riesce a liquidare un pm in meno di cinque minuti. E lo fa dimostrando che l’accusata nudista era stata beccata unicamente per essere uscita da un bagno a causa dell’esclusiva sollecitazione della polizia (se un agente non le avesse intimato levarsi biotta dall’acqua le sue tette sarebbero rimaste al coperto…). E qui le arringhe inIziali e finali rivelano un strategia processuale raffinatissima; e la scelta dei testi e la composizione della giuria portano lo spettatore a conoscenza dei trucchi di avvocati e pubblici ministeri: tattiche anche da mentalisti che variano dall’analisi della posizione del corpo e della prossemica, agli sguardi abbassi, ai tic degli interrogati, come i pruriti sulla gamba, che rivelano dichiarazioni mendaci. 

Nell’interpretazione di Manuel Garcia-Ruffo meno piacione ma più empatico della versione cinematografica di Matthew McCouneghey, l’avvocato Haller diventa un sorta di crocevia di eroi da legal thriller. Da Philip Marlowe al Patrick Wayne di The Mentalist, dallo Holmes di Sherlock, fino al bellissimo Goliath di Billy Bob Thornton (una giostra di emozioni legali su Amazon Prime): tutti gli eroi dell’indagine deduttiva e tutti i cavalieri delle aule di tribunale quai si concentrano sul sorriso sornione e sulla giacca stazzonata di Haller. 

Il quale haller esercita la tanto bistrattata professione basandosi sui meccanismi processuali della common law  angloamericana, con tanto di intervento dialogante del giudice nelle discussioni di pm e avvocato difensore. Il tutto svincolato dalla farraginosità dei discorsi tipici delle toghe: un nuovo stile retorico assai auspicato in questi giorni, per esempio, dall’attuale presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato. L’avvocato sgrana il rosario dei codici e sfoglia i dossier e penetra in ogni segreto d’ufficio dall’abitacolo della sua Lincoln Town Car; si distingue anche come un possente esempio di garantismo. 

Haller slaloma tra caterve di omicidi efferati, di molestie sessuali, di corruzione politica che s’innerva in quella giudiziaria, di ingiuste detenzioni da lui stesso causate attraverso controversi patteggiamenti; ma alla fine salverà le anime pie, esaltando ciò che nel nostro ordinamento risplende dall’articolo 111 della Costituzione, il “giusto processo”.

Ecco, nel retro di quella Lincoln si respira un po’ l’aria di Calamandrei, un po’ quella dei referendum radical-leghisti specie nel quesito che attiene la valutazione dei magistrati nell’ambito dei consigli giudiziari frequentati dagli avvocati/ membri laici. Il fatto che Haller abbia un ex moglie pm – la bellissima Neve Campbell della nostra adolescenza- che assomiglia vagamente ad Ilda Boccassini da giovane, be’, nulla toglie al garantismo del racconto...

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