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Torino, una squadra prigioniera del passato e dei conti. Ma Urbano Cairo ha ragione

Luciano Moggi
Luciano Moggi

Luciano Moggi nasce a Monticiano il 10 luglio 1937. Dirigente di Roma, Lazio, Torino, Napoli e Juventus, vince sei scudetti (più uno revocato), tre Coppe Italia, cinque Supercoppe italiane, una Champions League, una Coppa Intercontinentale, una Supercoppa europea, una Coppa Intertoto e una Coppa Uefa. Dal 2006 collabora con Libero e dal 13 settembre 2015 è giornalista pubblicista.

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Continuiamo la rassegna delle squadre di Serie A iniziata con le due milanesi, la Juventus, il Napoli, le due romane, la Fiorentina, l'Atalanta. Il Gotha insomma del nostro calcio nel quale, da tempo, manca il grande Toro che fu, considerato adesso squadra di mezza classifica. Ve ne sta parlando chi conosce molto bene la situazione per aver diretto quella società per sette anni (dal 1982 al 1987 e dal 1991 al 1993) con ottimi risultati: trionfo in Coppa Italia, secondo posto in serie A e finale di Coppa Uefa contro l'Ajax, persa tra l'altro sfortunatamente per aver pareggiato 2-2 in casa e 0-0 ad Amsterdam, dove il Toro ha colpito tre pali a portiere battuto (indimenticabile la rabbia di mister Mondonico con la sedia alzata al cielo).

Va detto che quella granata è una società difficile da amministrare, vive di diritti televisivi, fa poco botteghino e non ha molti sponsor. In compenso i tifosi sono sempre più pretenziosi perché vivono di ricordi, al contrario dei giocatori che, non essendo più attratti dal blasone come una volta, vogliono essere ben pagati. Il segreto sarebbe vendere bene e fare plusvalenze, come faceva il sottoscritto ai tempi. Ma allora il settore giovanile era il fiore all'occhiello della società e sfornava ottimi giocatori che permettevano di cedere gli esuberi e fare qualche buon affare, mentre adesso i vivai sono pressoché abbandonati. Ecco perché Cairo ultimamente si è ribellato chiedendo un accordo internazionale su ingaggi e settore giovanile. A prima vista sembrerebbe una richiesta fatta appositamente per il Toro visto che, fatta salva la presidenza di Sergio Rossi, la società ha sofferto in modo particolare la pochezza delle proprietà che si sono avvicendate (peggio di tutte quella del notaio Goveani).

Serviva al comando un personaggio credibile e l'arrivo di Cairo ha avuto il merito di rasserenare i tifosi che però si aspettavano da lui i miracoli. E Urbano, non ritenendosi ancora attrezzato a farli e fiutata l'aria di crisi che sta investendo il calcio, da buon imprenditore ha sbottato predicando quello che da tempo noi scriviamo: porre cioè un tetto agli ingaggi perché ormai le spese sono incontrollabili, oltre ad incentivare i vivai per farli tornare ad essere serbatoi della prima squadra. È l'unico sistema per salvare il calcio dal fallimento, tant'è che non soltanto Cairo, ma tutte le altre società hanno messo un freno alle spese per non finire in tribunale. E nella cessione di Bremer è racchiusa la spiegazione di quanto stiamo dicendo. Il giocatore è stato venduto alla Juve e non all'Inter perché i bianconeri, cedendo De Ligt, si sono autofinanziati l'operazione, mentre l'Inter, non essendo riuscita a vendere Skriniar, si è dovuta ritirare nonostante avesse già un accordo con il giocatore da mesi.

Intanto il Toro ha acquistato Lazaro dal Benfica, Radonjic dal Marsiglia e Miranchuk in prestito dall'Atalanta a fronte delle partenze di Bremer, Belotti, Mandragora, Ansaldi, Pobega Brekalo e Pjaca. Da una ex grande (il Toro) al Sassuolo, due modi diversi di amministrare per le aspettative ambientali. Mentre a Torino i tifosi si aspettano sempre giocatori affermati e risultati, al contrario a Sassuolo non hanno pretese, sono coscienti del fatto che la società debba vendere per mantenersi in serie A, per cui approvano il "largo ai giovani" da valorizzare e vendere. Il Sassuolo è così diventata una stazione di transito per i giocatori, facilitando il compito a Carnevali che ne ha fatto una ragione di sopravvivenza: la sua "vetrina" è seguita in Italia e all'estero, tant'è che vedremo Scamacca in Premier con il West Ham e probabilmente Raspadori a sostituire Mertens nel Napoli. 

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