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Gig Economy, l'occasione persa nel Decreto Dignità

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In questi giorni il tanto discusso Decreto Dignità potrebbe essere convertito in legge. Molti sono stati gli emendamenti proposti, acceso il dibattito del mondo politico e non solo. I timori e le preoccupazioni su quanto il Decreto potrebbe portare con sé sono stati diversi, ma non è su questo che vorrei soffermarmi oggi. Quello su cui vorrei riflettere è il fatto se non fosse stato meglio, all'interno del Decreto Dignità, regolamentare i contratti legati alla Gig Economy. Andiamo con ordine. Oggi i lavoratori possono, in estrema sintesi, godere di tre tipi di contratti: i contratti a tempo determinato, i contratti a tempo indeterminato e i contratti autonomi, se così vogliamo intendere anche i contratti a collaborazione coordinata e continuativa. Se i primi due attualmente godono di buone tutele per i lavoratori, così non è invece per i contratti autonomi. Questo significa, per estremizzare, che un lavoratore potrebbe essere licenziato da un giorno all'altro senza avere alcun tipo di garanzia. Il caso più conosciuto di questo tipo di collaborazione è quello dei rider di Foodora, ma la lista di aziende legate alla Gig Economy è lunga e variegata. Quello su cui vorrei farvi riflettere è il fatto che nel Decreto si è intervenuti sui contratti a tempo determinato e indeterminato, ma questa operazione risulta tutto sommato relativamente facile, visto che è bastato alzare le indennità di licenziamento o i termini di durata dei contratti. Quello che invece sarebbe risultato difficile, sarebbe stato colmare quel vuoto normativo legato ai lavori del mondo della Gig Economy. Operazione che però non è stata fatta. Penso che questa sia stata un'occasione persa per il Governo, tutto il lavoro legato alla Gig Economy è in deciso aumento e credo che il futuro vedrà ulteriori espansioni di questi tipi di collaborazioni. La speranza è dunque quella che venga presto regolamentato, dando così alcuni tipi di tutele anche a questi lavoratori. di Cristiano Cominotto

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