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Il puparo Barack e i burattinidella stampa politica di Washington

New York Times, Washington Post e Wall Street Journal "strisciano" davanti al presidente. Ma non è, come sostengono alcuni, bravo lui: sono loro lecchini

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Il titolo “Burattinaio” sopra la foto di Obama sulla home page di Politico.com era promettente. E così l'attacco dell'articolo: “Il presidente Barack Obama è un maestro nel limitare, dare la forma  e manipolare i media che coprono lui e la Casa Bianca”. La descrizione dello stato imbarazzante per la categoria di come giornali e Tv (nel 95% dei casi) seguono e raccontano la presidenza di Obama poteva essere roba di qualche riga per spiegare l'ovvio: ossia che i giornalisti sono stati adoranti e succubi prima e dopo le elezioni stravedendo per lui, e che non c'è miglior burattino di chi vuole fare il pupazzo. Punto. Gli esempi di docile zerbinaggio sono stati innumerevoli, ma per chiudere il discorso bastava citare l'ultimo caso, quello della intervista in prima serata combinata con Hillary Clinton nella (una volta) prestigiosa trasmissione “Sixty Minutes”: nessuna domanda vera, solo assist e sorrisini.  E invece, sorpresa, il lavoro dei due corrispondenti di Washington del sito del Palazzo Jim Vandehei e Mike Allen, titolari della rubrica dalla testata che vorrebbe essere intrigante “Dietro le quinte”, è andato avanti per quattro pagine. Ma con l'intento scoperto di complimentarsi con Obama e il suo staff per il modo in cui usano twitter e facebook, diffondono foto di regime quotidiane su quanto sono belli e bravi nella Casa Bianca, e preferiscono dare interviste ai giornalisti delle tv locali e delle riviste periferiche piuttosto che parlare con il “press corp” accreditato, ossia con quelli del New York Times, Washington Post, Wall Street Journal. Sarebbero bravi Obama e i suoi, tecnicamente e professionalmente, non lecchini i reporters. E' stata persino tirata in ballo la crisi dell'editoria, con i budget limitati dei giornali che risparmierebbero soldi per le foto e userebbero così, “per forza”, le veline del boss invece di materiale indipendente. Sostenere che il mondo dei media di Washington è in miseria al punto da ridursi ad house organ involontario e coatto è prendere in giro i lettori. Ma i liberal, come sono i due del Politico.com, non avvertono mai il senso del ridicolo. In America, se si vuole trattare da giornalisti adulti e quindi irrispettosi un presidente, si sa bene come fare. Si può ricordare Dan Rather che tolse la pelle di dosso a Bush padre, per non andare indietro a Nixon e Reagan. E George W. Bush, che nel suo primo mandato si rese disponibile per la stampa spontaneamente, dopo apparizioni per annunci o per opportunità di foto, ben 355 volte, tre volte tanto le 107 di Obama, sappiamo bene come veniva fronteggiato. Ma 100 e passa occasioni non sarebbero comunque poche per dire pane al pane: il problema è volerle usare per fare un servizio al pubblico, e non i reggicoda del re. di Glauco Maggi  

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