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Obama (ri)scende in campo e toglie ossigeno alle nuove leve politiche democratiche

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Obama e' sceso in campo dando il sostegno esplicito per le elezioni di medio-termine del prossimo novembre a 81 Democratici candidati a Camera, Senato, Governatorati e persino a parlamenti statali. Barack si e' impegnato a tenere comizi e a fare apparizioni pubbliche e raccolte di fondi, e la sua mossa dara' vita nelle piazze, per i prossimi tre mesi, a un prolungato derby politico di altissimo livello, non usuale nel galateo degli Stati Uniti che non contemplerebbe, di norma, un braccio di ferro tra un presidente in carica e il suo predecessore. Ma come si puo', nell'era di Trump, parlare di regole e di tradizioni? Obama ha addirittura fatto un comunicato ufficiale per lanciare la sua iniziativa “militante”, da capo partito, in cui si e' detto “orgoglioso di dare l'endorsement a un ventaglio largo e impressionante di candidati Democratici, leaders diversi, patriottici e dal grande cuore come l'America che si accingono a rappresentare. Ho fiducia che, insieme, costoro rafforzeranno questo paese che noi amiamo restaurando opportunita' che siano largamente condivise, riparando le nostre alleanze e la nostra posizione nel mondo e elevando il nostro fondamentale impegno alla giustizia, alla correttezza, alla responsabilita' e allo stato di diritto. Ma prima, loro hanno bisogno dei nostri voti, e io sono impaziente di sostenere le ragioni per cui i candidati Democratici meritano i nostri voti questo autunno”. L'elenco e' meticolosamente studiato per aiutare i candidati di quei distretti che potrebbero, incerti come sono oggi i sondaggi, ribaltare la maggioranza che il GOP ha alla Camera e al Senato. Quando Obama vinse nel 2008, l'ex presidente George W. Bush decise di non intervenire piu' attivamente sulla scena politica, dicendo che era per rispetto istituzionale dell'alternanza (lo stesso aveva fatto suo padre George H. Bush che non attacco' mai il successore Bill Clinton). E' vero che quando George W. lascio' la Casa Bianca al minimo di popolarita' il suo silenzio coincideva con la convenienza tattica di partito. Per dimezzare politicamente Obama alle elezioni di medio termine del 2010, comunque, basto' la straordinaria mobilitazione dei Repubblicani: sostenuto dai Tea Party, nati per protestare contro l'Obamacare e il superstimolo da 1000 miliardi pro welfare, il GOP guadagno' 63 seggi alla Camera e ne prese il controllo. Ai DEM, oggi, di seggi da conquistare ne servono solo 24 e l'obiettivo e' alla loro portata, sulla carta. Infatti, il dato medio RCP (al 5 agosto) dei sondaggi sulla “preferenza generica al seggio” dice che gli americani orientati a votare candidati GOP sono il 39,1% e quelli a votare i DEM il 46%. Il vantaggio di 6,9 punti dei Democratici statisticamente non garantisce la conquista dei 24 seggi necessari, anche perche' c'e' una fetta del 15% circa che non si esprime ancora. Di qui, la decisione di Obama di mettere sulla bilancia il proprio peso politico per convincere gli indecisi a salire sul carro di Nancy Pelosi, la ex Speaker che tornerebbe a guidare la Camera assicurando due obiettivi ai DEM: seppellire l'agenda programmatica di Trump per gli ultimi suoi due anni, e stringere l'assedio al presidente sul Russiagate sperando di arrivare all'impeachment. Cio' che e' abissalmente diverso oggi dal 2010 e' che l' estremismo dei Tea party era nel filone ultra-americano della difesa della Costituzione e dell'eccezionalismo e patriottismo americano, mentre l'estremismo attuale nei DEM e' quello socialista della giovanissima pasionaria Ocasio-Cortez che vuole la sanita' e la scuola gratis per tutti e i confini aperti abolendo le guardie di frontiera. Trump e' consapevole di avere tanti jolly – i suoi risultati e la deriva rossa dei DEM, e non a caso da una settimana ha avviato l'offensiva dei suoi rally negli Stati ballerini e nei distretti in cui si giocano le partite piu' incerte per la conservazione della maggioranza alla Camera. E possibilmente elevando l'attuale maggioranza al Senato, che e' solo di 51 a 49, e con John McCain assente dall'aula per curarsi il cancro. Trump ha promesso di insistere a fare comizi fino a novembre per sostenere il GOP, forte del favore – l'88% secondo l'ultimo sondaggio - che ha nel partito repubblicano, ormai ritagliato sulla sua personalita', e soprattutto ben lieto di poter vantare l'economia boom creata dalle politiche fiscali e di deregolamentazione del presidente. Trump lavora, ovviamente, anche per il 2020, dove il clima da referendum su di lui, che e' gia' parte importante della disfida congressuale del prossimo novembre, raggiungera' il suo apice. E in quella gara potrebbe avere di fronte la faccia vecchia dei DEM: nel sondaggio recente Harvard-Harris e' Joe Biden, che avra' 77 anni il giorno del voto, al primo posto con il 32% nelle preferenze dei DEM interpellati, Hillary e' seconda con il 18% e Bernie Sanders e' terzo con il 16%. E Obama, che oggi scende in campo vistosamente sottraendo ossigeno politico alle nuove leve dei DEM che faticano ad emergere e non trovano visibilita' autonoma, gli da' involontariamente una mano. di Glauco Maggi

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