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Democratici addio, l'economia Usa vola oltre ogni previsione: per Donald Trump sarà un trionfo

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Il prodotto interno lordo USA e' cresciuto del 3,2% nel primo trimestre del 2019, rispetto al primo trimestre del 2018, strabattendo le aspettative degli economisti che erano del 2,5%. Il Dipartimento del Commercio ha diffuso oggi la sua prima stima (quella definitiva verra' a fine giugno), che e' una bella notizia per Trump, e per gli americani, ma anche una brutta notizia per i Democratici che si sono candidati presidenti. Piu' l'economia si mantiene agli ottimi livelli del 2017-2018 (minima disoccupazione sotto il 4%, borsa ai massimi, PIL attorno al 2,5-3%), minori se non nulle diventano le possibilita' che Biden, Sanders e compagnia possano parlare di lavoro che manca, di fiducia delle famiglie che cala, di imprese che non fanno profitti. Peraltro, il periodo dell'anno che ha fatto l'exploit del 3,2%, da gennaio a fine marzo, e' generalmente il meno favorevole per l'economia USA. Ed e' vero che all'inizio del 2019 i mercati finanziari sembravano in preda all'Orso, le vendite al dettaglio non erano state brillantissime, e il rallentamento nelle nuove assunzioni aveva fatto temere l'avvicinarsi della crisi. I piu' speranzosi tra gli avversari di Trump vedevano gia' la recessione imminente. Invece, tutte queste voci sono migliorate significativamente nei primi 4 mesi, ed ora le prospettive sono piu' rosee anche per il secondo trimestre in corso. La Trump-economics (taglio delle tasse e deregolamentazione del business) ha gia' ridicolizzato la previsione solenne degli economisti obamiani che avevano stabilito che il sistema americano non avrebbe mai potuto andare oltre il 2% per motivi strutturali: nel 2018, infatti, il PIL USA trumpiano era cresciuto gia' del 2,9%. Il 3,2% attuale e' un dato che non va assunto con trionfalismo, comunque, perche' e' possibile che l'effetto di stimolo psicologico dato dal taglio delle tasse entrato in vigore nel gennaio del 2017 possa affievolirsi nel tempo. Ma il vedere il ”3% di crescita del PIL USA ” nei titoli alza l'asticella degli obiettivi per tutti. Per Trump che l'aveva promessa, l'ha raggiunta, e ora deve mantenerla. Ma anche per i Democratici che sperano di cacciarlo nel 2020: Sanders o Biden non avranno piu' l'alibi, cortesemente concesso a Barack dalla corte dei Paul Krugman e dei Larry Summers, che gli Stati Uniti erano ormai destinati ad un passo economico dell'1-2%, all'europea. L'Europa, si sa, e' il modello di “socialismo” che i Democratici dicono di voler replicare. E Sanders respinge con sdegno l'accusa dei Repubblicani e di Trump, storicamente ovvia ma politicamente scorretta, che se uno si incammina sulla strada della “redistribuzione” e del socialismo puo' benissimo approdare a Cuba o in Venezuela. O nella Russia sovietica, che e' sempre stata il modello ideale per Sanders. Ora Bernie il rosso parla di Svezia, ma chi si fida e' un allocco. Lo dice la sua storia. Faceva parte della Lega dei Giovani Socialisti alla Universita' di Chicago, nel 1964. Organizzo' un fronte di comunisti (United Packinghouse Workers Union), gruppo finito sotto inchiesta della Commissione della Camera USA sulle “attivita' anti-americane” durante la Guerra Fredda. Nato a Brooklyn, laureato in Scienze Politiche si e' spostato in Vermont dove ha guidato la Societa' di Storia del Popolo Americano, un organo di propaganda marxista. E' li' che ha prodotto un documentario apologetico di Eugene Debs, candidato del partito socialista americano in cinque elezioni presidenziali Usa dai tempi della salita al potere dei comunisti in Russia. I bolscevichi definirono Debs “il piu' grande Marxista d'America”, e lui in un discorso del 1918 in Ohio affermo' la sua solidarieta' con Lenin e Trotsky. Sanders, per capirsi, ha ancora oggi un ritratto di Debs sulla parete del suo ufficio da senatore a Washington. Negli Anni 70 Sanders fu tra i fondatori del Liberty Union Party, che propugnava la nazionalizzazione di tutte le banche e il controllo federale delle aziende dei servizi di pubblica utilita', luce gas telefoni e acqua. Nel 1981, dopo aver fallito le prime elezioni per il Congresso, ripiego' sulla carica di sindaco di Burlington, dove chiamo' “Vermont Reds” (i Rossi del Vermont) la locale squadra giovanile di baseball. Fece varie missioni di fede a Cuba e nell'URSS: nel 1988 capeggio' la delegazione ufficiale per gemellare Burlington a Yaroslavl sul Volga, in coincidenza con il suo viaggio di nozze. Prima, nel 1985, era andato in Nicaragua dove aveva celebrato la salita al potere del governo sandinista marxista-leninista. Guarito o meno che sia dal comunismo che non ha mai rinnegato, Sanders oggi propina la via scandinava. E sproloquia di “ineguaglianza” ormai insopportabile tra ricchi e poveri, che e' il nuovo mantra. Eppure, come mostra un'analisi puntuale della societa' di ricerche di New York Strategas, cio' che conta davvero per la gente, e che dovrebbe guidare l'attivita' dei leader politici, e' il livello di reddito assoluto. A Cuba non c'e' affatto diseguaglianza, perche' la miseria tocca tutti, e solo i gerarchi rossi e i loro lacche' sono esclusi. Nelle democrazie capitalistiche ci sono i meno e i piu' abbienti (vedere il coefficiente Gini della ineguaglianza, dove 0 e' perfetta uguaglianza e 100 perfetta diseguaglianza), e c'e', di conseguenza, il “reddito medio”. Scorriamo la classifica. 1=Stati Uniti, Gini 45, reddito medio 62.606 dollari 2=Svezia, Gini 24,9, reddito medio 53.873 dollari, standard di vita rispetto agli USA  -14% 3=Finlandia, Gini 27,2, reddito medio 49.845 dollari, standard di vita rispetto agli USA  -20% 4=Germania, Gini 27, reddito medio 48.264 dollari, standard di vita rispetto agli USA  -23% 5=Canada, Gini 32,1, reddito medio 46.261 dollari, standard di vita rispetto agli USA -26% 6=Francia, Gini 29,3, reddito medio 42.878 dollari, standard di vita rispetto agli USA  -32%. I regimi dei vari Stati differiscono per la liberta' di impresa, e, all'opposto, per la maggiore statalizzazione dell'economia. E il risultato e' chiaro: tanto piu' c'e' “socialismo”, anche in democrazia, e tanto meno ne trae vantaggio il “reddito medio”, ossia la popolazione nel suo complesso. di Glauco Maggi

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