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Con il #metoo per le donne è più difficile fare carriera

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Grazie al movimento #MeToo, per le donne e' piu' difficile fare carriera sul posto di lavoro. Non e' una battuta maschilista, ma un dato statistico dimostrato da un sondaggio curato da SurveyMonkey e LeanIn, il gruppo fondato dalla COO di Facebook Sheryl Sandberg al fine di aiutare le donne a sviluppare il proprio potenziale professionale. Sandberg sa bene che e' fondamentale per i giovani dei due sessi, ai primi passi in azienda, il ricorso al networking di conoscenze influenti e lo sfruttamento di proficue relazioni con i mentors, i capi d'azienda nelle posizioni di potere che hanno tra i loro compiti quello centrale di riconoscere e promuovere i talenti. L'amara scoperta uscita dal sondaggio e' che il 60% dei manager maschi si sentono a disagio nel partecipare ad attivita' sul posto di lavoro che comportano, per l'appunto, il mentoring o anche le banali occasioni di socializzazione con le colleghe di piu' basso livello. E' un incremento del 32% rispetto ad un anno prima, segno che l'onda della paura, per i maschi, di perdere il posto e la reputazione per aver detto qualcosa di sbagliato, o peggio ancora di aver fatto, anche inavvertitamente, qualche mossa accusabile di assalto sessuale, e' sempre piu' lunga e non accenna a rientrare. Piu' di un dirigente su tre, il 36%, ha dichiarato di aver evitato di proposito di vedersi con una collega che avrebbe gradito un incontro per meri e legittimi fini di crescita professionale “perche' era nervoso sull'impressione che avrebbe dato quel meeting”. Da un'altra domanda alle oltre 5mila persone interpellate nel sondaggio e' emerso che il 70% dei dipendenti ha detto che la loro azienda “ha preso azioni concrete per affrontare l'harassment sessuale”, un incremento del 46% rispetto all'anno prima. E' un'ulteriore conferma che nei posti di lavoro regna un clima da “caccia al male intenzionato”, una finalita' lodevolissima di per se' ma con la imprevista e negativa conseguenza di eliminare comportamenti legittimi che farebbero bene a tutti: alle giovani donne per le loro carriere, e alle imprese che hanno l'interesse a far crescere tutti i soggetti potenzialmente validi, utili ad ottimizzare attivita' e profitti. Nel 2018, solo un terzo dei senior manager (il 34%), aveva ammesso di non sentirsi a proprio agio nel socializzare con una collega al di fuori del posto di lavoro, per esempio per un pranzo al ristorante. Nel 2019, il numero e' balzato al 48%, quasi uno su due. E il 34% ha detto di aver preso decisioni concrete per evitare di avere una interazione con una collega fuori dall'ufficio. Se e' deprecabile l'effetto di gelare i rapporti, sani e produttivi, tra senior executives bene intenzionati e giovani donne giustamente ambiziose e volonterose, va comunque detto che le molestie sessuali sono una realta', e che l'impegno delle aziende nel reprimerle e' un dovere. Il flusso costante di storie di molestie negli ultimi anni, si legge nel rapporto che presenta il sondaggio, sembra pero' confondere i lavoratori sulla frequenza con cui esse accadono. Numeri uguali dicono che la frequenza delle molestie è in aumento (22%) e in diminuzione (21%), e ancora di più (il 24%) sono i lavoratori che non sanno da che parte stia andando il fenomeno. Inoltre, le donne si sentono meno sicure sul posto di lavoro rispetto a prima. Solo l'85% ha dichiarato di sentirsi in un ambiente protetto, in calo rispetto al 91% dello scorso anno. Anche la copertura dei media tesa a ritenere responsabili gli aggressori sembra creare un senso di minaccia, e la gente non e' convinta che gli aggressori siano ritenuti responsabili. La maggior parte dei lavoratori concorda sul fatto che i molestatori, specialmente quelli di alto rango, non siano sufficientemente puniti per i loro misfatti. Solo il 16% dei lavoratori ritiene che i molestatori in alte posizioni siano solitamente ritenuti responsabili delle proprie azioni (e 3 su 10 pensano che i colpevoli siano raramente, o mai, puniti). Ma mentre l'anno scorso il 35% dei lavoratori aveva dichiarato che le punizioni non erano state abbastanza severe, quest'anno il numero si è dimezzato. di Glauco Maggi

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