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Lombardo ci insulta, ma ha perso

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Monti ottiene il via libera di Napolitano: pugno di ferro sulla Sicilia a un passo dal default. E il governatore insulta Libero, colpevole di aver alzato il velo sugli sprechi

Nicoletta Orlandi Posti
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di Maurizio Belpietro Giampaolo Pansa ha ragione: il crac della Sicilia non ha un padre ma molti padrini. E Raffaele Lombardo, il governatore camaleonte che ha iniziato con il centrodestra ed è finito a guidare una giunta di centrosinistra, è solo l'ultimo della serie. Prima di lui bisognerebbe elencare tutti i politici che hanno governato l'isola negli ultimi sessant'anni, democristiani di lungo corso che hanno regnato grazie alla spesa pubblica, cioè comprando i voti che servivano a vincere le elezioni, pagandoli poi con migliaia di posti pubblici. Così si è arrivati alle cifre enormi di dipendenti impegnati in ogni settore, dalla Regione fino al più piccolo Comune. Un esercito che secondo alcune voci sfiorerebbe addirittura la cifra del milione. Esagerazioni da bar sport? Può darsi, ma non bisogna dimenticare che, tra personale diretto e indiretto, Palazzo dei Normanni mantiene poco meno di centomila persone e che, se la Lombardia spende per i suoi impiegati 127 milioni l'anno, la Regione guidata dal governatore siculo dilapida più di un miliardo. Di fronte a questi numeri, che sono, come era inevitabile, da bancarotta, la trincea di difesa eretta da Lombardo, dalla sua giunta e dai suoi sostenitori, Pd in testa, consiste nel dire che il buco è responsabilità del passato. Se il bilancio regionale è ultra-indebitato e l'ente non ha un euro in cassa al punto da rischiare di non pagare gli stipendi, la colpa è esclusivamente di chi ci stava prima. Anzi, il governatore e i suoi picciotti quasi sembrano voler giocare la parte dei risanatori, come se dal giorno del loro arrivo i conti fossero andati meglio e la Regione, da sprecona che era, fosse diventata virtuosa. In realtà, le cose non stanno così e per rendersene conto basterebbe leggersi le relazioni che la Corte dei Conti ha presentato anno dopo anno, in particolare la più recente. In essa, riferendosi all'ultimo esercizio possibile, cioè quello chiuso al 31 dicembre 2011, i magistrati contabili parlano di «una situazione di notevole e preoccupante deterioramento», in cui «tutti o quasi i saldi fondamentali di bilancio presentano valori negativi». Altro che risanamento, da quando c'è Lombardo le cose, se non vanno peggio, di sicuro non sono migliorate. Nonostante il disastro contabile, il governatore ha continuato a scialare, aumentando il personale di quasi un terzo e passando da 13mila dipendenti a oltre 17mila. Assunzioni che, secondo le toghe con la calcolatrice, destano perplessità, perché fatte con una procedura non proprio regolare. Replicano i difensori del presidente, in particolare il Pd, partito che come detto sostiene la sua giunta: gli assunti già lavoravano per la Regione, ma da precari. Vero, ma così facendo il presidente siciliano ha ottenuto un solo risultato, ovvero di cancellare la possibilità che quei posti potessero un giorno essere ridotti. Da precarie che erano, 4.500 persone sono diventate stabili, anzi inamovibili. La Regione, ma sarebbe meglio dire lo Stato italiano, dovrà farsene carico da qui fino alla pensione, perché nessuno li potrà mai più allontanare o indirizzare verso altra destinazione. Fosse stato per Lombardo,  il numero di «stabilizzati» sarebbe stato superiore: potendo, il governatore ne avrebbe sistemati altre migliaia, assicurando a tutti un posto fisso. Fortuna che il progetto è naufragato, altrimenti oggi parleremmo di 30mila impiegati stabili o forse più. A essere andata in porto senza incidenti, pur avendo sfidato la decenza, è stata invece la nomina di altri cento dirigenti: i circa 2mila di cui già disponeva la Regione non bastavano, così il governatore ha deciso di aumentarli, riuscendo a fare avanzare in carriera perfino un impiegato posto agli arresti.  Neppure il bilancio della sanità, settore che il presidente della Sicilia ha affidato alle cure dell'ex magistrato Massimo Russo, mostra i segni dell'operazione di risanamento tanto decantata dal governatore. Rispetto allo scorso anno la spesa è cresciuta di 600 milioni, continuando a mangiarsi poco meno del 50 per cento di tutta la spesa regionale,  e i dipendenti - 50mila - non sono diminuiti nemmeno di una unità, ma anzi rischiano di crescere di altre migliaia. Senza contare le consulenze che, durante la legislatura, sarebbero cresciute al ritmo di tredici nuove nomine ogni mese.  Di fronte a questo disastro, Lombardo non si scompone e anche ieri, in una conferenza stampa, ha ribadito lo stato di salute della Sicilia, i cui problemi sarebbero dovuti solo ai mancati trasferimenti dello Stato. Un modo di dire che i conti sarebbero in utile se il governo pagasse a piè di lista le spese della Regione, come hanno sempre fatto quasi tutti i governi negli ultimi sessant'anni. E in questo il numero uno di Palazzo dei Normanni si dimostra degno erede dei suoi predecessori, un vero padrino dell'isola. O, meglio, un vero Gattopardo. Che ancora oggi, nonostante l'Europa, il Fondo monetario, la Banca centrale e Monti, è ancora convinto di poter continuare con i sistemi che hanno portato una delle più belle regioni d'Italia al fallimento. È inutile che minacci di querelarci per quanto abbiamo scritto, come ha fatto ieri: noi non temiamo il giudizio. Ma fossimo in lui avremmo il terrore del giudizio dei creditori, cioè dei contribuenti italiani, gli unici che hanno il potere di dire basta.  

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