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Monti, una gaffe al giorno. Fermatelo

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Dice al WSJ: "Con Berlusconi spread a 1200". Ira Pdl, si riparla di voto anticipato. Ma il Cav frena

Nicoletta Orlandi Posti
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di Maurizio Belpietro Dev'essere la maledizione di Palazzo Chigi: uno si siede sulla poltrona di premier e si sente libero di fare tutto, anche di dire scemenze. Era successo a Berlusconi prima di lui, capita a Monti. Il quale, non essendo il Cavaliere, e dunque non avendo lo spirito per raccontare barzellette, si limita a collezionare gaffe. La penultima e più nota risale a un paio di giorni fa, quando al presidente del Consiglio è venuta l'ideona di farsi intervistare dal settimanale Der Spiegel  per rasserenare i rapporti con la Germania. Non l'avesse mai fatto:  una risposta in cui invitava la Merkel a non dare troppo peso al Parlamento ha fatto infuriare i crucchi, i quali l'hanno giustamente invitato a farsi i fatti suoi e non mettere il naso in casa d'altri. Non si era ancora spenta l'eco delle polemiche, che il professore ne ha fatta un'altra delle sue, sempre a mezzo stampa. Questa volta l'intervista l'ha concessa al Wall Street Journal, quotidiano fidato che avrebbe dovuto rappresentare un terreno sicuro per l'ex presidente della Bocconi. E invece ecco la risposta in agguato: «Se il precedente governo fosse ancora in carica, ora lo spread italiano sarebbe a 1200 o qualcosa di simile». Una frase infelice, soprattutto se detta da uno che già si era attribuito virtù calmanti che i mercati hanno ignorato. Appena insediato, Monti fece capire che a tranquillizzare gli investitori sarebbe bastata la sua presenza, annunciando una riduzione dello spread di almeno 200-300 punti. Come poi si è visto, lo spread e anche i gestori dei grandi fondi d'investimento se ne sono infischiati di lui e, non fosse intervenuto Mario Draghi, il differenziale tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi veleggerebbe ancora a quota 600.  Già questo avrebbe dovuto sconsigliare il premier di affrontare la questione, ma al professore piacciono le battute fredde e dunque ne ha tirata fuori una delle sue. Se non fosse vestito con un elegante abito grigio burocrate, si potrebbe pensare che Monti ami le spacconate. E invece no, è solo un gaffeur con un alto concetto di se stesso. Così ieri, dopo aver sparato la sua profezia, il premier si è affrettato a chiedere scusa, telefonando a Berlusconi, nel tentativo di placare l'ira del centrodestra e tamponare la sua traballante maggioranza. Non sappiamo se l'inversione a U sarà sufficiente a scongiurare le elezioni anticipate, ipotesi che da ieri è tornata a circolare con forte insistenza, ciò che però ci è noto è che la stupidaggine dello spread a 1200 il presidente del Consiglio l'ha detta nel giorno sbagliato. La smargiassata infatti è caduta la mattina in cui l'Istat diffondeva i dati sullo stato di salute della nostra economia e peggio di così non si poteva. Nel secondo trimestre 2012 il Pil è sceso dello 0,7 per cento rispetto al primo, arrivando a meno 2,5 per cento sull'anno precedente. Secondo gli esperti  dell'istituto, non c'è settore che si sia sottratto all'andamento negativo: industria, agricoltura e servizi sono messi tutti male. In tre mesi la produzione industriale è diminuita dell'1,8 per cento se confrontata con il periodo di gennaio-marzo. In giugno in particolare si è registrato lo sprofondo rosso, con prodotti come la gomma e la plastica, l'abbigliamento e i tessuti, ma anche i minerali non metalliferi o i prodotti petroliferi che hanno perso tra il 13 e il 14 per cento. Per non parlare dell'auto che giugno su giugno ha innestato la retromarcia, con un calo del 22,5 per cento. In pratica, una débâcle. Altro che «con me si va meglio». Altro che «resto per salvare l'Italia». Giorno dopo giorno il governo macina passi indietro e questi non sono ipotesi inverificabili tipo la quota che  avrebbe raggiunto lo spread se fosse rimasto il precedente esecutivo,  ma dati concreti, certificati dall'Istat. Il differenziale sui titoli di Stato non c'entra:  qui è l'economia che non gira, anzi, che marcia verso il baratro. E le colpe non sono attribuibili a nessun altro se non a chi governa. Se le aziende non assumono e non producono è certamente perché c'è la crisi, ma anche perché chi doveva risolverla con i suoi provvedimenti ha contribuito ad aggravarla. Le imprese licenziano perché non hanno bisogno di lavorare di più in quanto il mercato interno non compra i loro prodotti. Gravati da troppe tasse e da previsioni ogni giorno più nere che il premier contribuisce ad alimentare («Sarà un percorso di guerra» e così via), i consumatori non consumano. Molti non hanno più soldi e quei pochi che ce li hanno se li tengono stretti, temendo che il futuro ci riservi periodi peggiori. Ma oltre a fare gaffe, quel che è più grave è che Monti non riesce a convincere  neppure se cerca di essere rassicurante. Infatti, quando la settimana scorsa ha dichiarato che presto saremmo stati fuori dal tunnel, nessuno gli ha creduto. Neanche lo spread, che appunto non ha fatto un plissé. Nell'intervista della gaffe, il presidente del consiglio confida al Wall Street Journal di voler cambiare la mentalità degli italiani. Noi per la verità ci accontenteremmo che lui cambiasse la sua.

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