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Pet therapy

Una terapia nata per caso

giovanni morelli
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La moderna pet therapy è nata nel 1953 in America per merito dello psichiatra infantile Boris Levinson che aveva in cura un ragazzino autistico con cui non riusciva a stabilire un rapporto. Un giorno, per caso, egli portò in studio Jingles, il cane che aveva adottato qualche tempo prima. L'animale cominciò subito a giocare con il piccolo paziente che, per la prima volta, mostrò di provare un'emozione gioiosa, grazie allo scambio ludico e affettivo con l'amico peloso. Il cane riusciva evidentemente a ‘sciogliere il ghiaccio', sia aiutando il bambino ad abbassare le proprie difese emotive, sia fornendogli uno spunto di comunicazione con il terapista.  Secondo Levinson, il ruolo terapeutico dell'animale consisteva nel conforto incondizionato che esso fornisce, grazie alla sua capacità di stabilire un rapporto empatico. Trasse dunque spunto da questo episodio per iniziare a fare ricerche nel campo della terapia con animali domestici, per cui coniò poi la definizione di ‘pet therapy', nel suo libro ‘Il cane come co-terapeuta', pubblicato nel 1961. La pet therapy nella storia                                               In realtà, fin dai tempi più remoti gli animali sono stati accostati alle pratiche mediche. Nell'Egitto dei Faraoni il cane era sacro al dio Anubi, protettore della medicina, mentre nell'antica Grecia i cani erano sempre presenti nei dintorni del tempio di Esculapio, figlio di Apollo, Dio della medicina, e ad essi veniva attribuita la facoltà di curare i malati giunti in pellegrinaggio. Le divinità dei Caldei e dei Sumeri erano spesso accompagnate da animali d'affezione. Nell'antica Grecia si pensava che un non vedente avrebbe potuto riacquistare la vista, se fosse stato leccato da un cane sacro. Tra il V e il IV secolo a.C. Ippocrate di Kos aveva già individuato i benefici fisici e psicologici derivanti da una lunga cavalcata. I primi documenti della pet therapy Uno dei primi casi documentati di utilizzo della pet-therapy risale alla fine del XIX secolo, in Inghilterra, dove i pazienti di un istituto per malati mentali erano liberi di passeggiare e interagire con i piccoli animali domestici (polli e conigli) che popolavano il giardino, nella convinzione che la presenza di queste creature indifese li inducesse a prendersene cura, esercitando su di loro un'influenza ‘umanizzatrice'. Alla fine della Prima Guerra Mondiale, Francia e Stati Uniti impiegarono i cani per aiutare i reduci a superare sindromi ansiose e depressive: l'esperienza diede buoni risultati e venne ripetuta anche alla fine del secondo conflitto mondiale.   di Giulia Settimo (riproduzione vietata)

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