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Paolo Becchi sul coronavirus: "Cina? No, il modello della Corea del Sud è da imitare. Come si è salvata"

Paolo Becchi e Giovanni Zibordi
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Il nostro governo sta agendo per contrastare il contagio seguendo un approccio che ormai in Italia è condiviso da tutte le forze politiche, opposizioni comprese, che solo intendono alzare l'asticella ma non propongono misure alternative. Eppure a parte la Gran Bretagna che ha deciso di puntare sulla cosiddetta "immunità di gregge", c'è un altro Paese che ha affrontato con successo il problema del contagio e lo ha superato: la Corea del Sud. Il Ministro della Sanità della Corea del Sud, Kim Gang-lip, ha dichiarato che un approccio, come quello dell'Italia, di chiudere tutto nel paese e chiudere tutti in casa è relativamente poco efficace e causa molti problemi in una società moderna: "È un approccio coercitivo, rigido e ottuso (close-minded)".

METODO INUTILE
Di fatto è poco efficace, e ci vuole più tempo per raggiungere risultati, perché in una società moderna, in cui le persone sono di solito libere di muoversi, non si riesce a chiuderle tutte in casa e anche se le chiudi in casa non saprai mai i contatti che hanno prima avuto. Se si approfondisce come la Corea e poi Singapore, Taiwan, Hong Kong hanno affrontato il coronavirus, si impara che in tutti questi paesi si è sistematicamente cercato di rintracciare, a partire da ogni malato con sintomi, ogni suo contatto recente, amici, parenti, colleghi. Poi un team di specialisti esaminava tutte queste persone e quelle risultate infette venivano messe in quarantena stretta, senza poter avere contatti neanche con i famigliari. In questo modo si applicava un isolamento rigoroso solo ad alcune decine di migliaia di persone "sospette".

Come si sa, in Corea l'infezione è stata rilevata a fine gennaio, più o meno come in Italia, ma da ormai dieci giorni è sotto controllo e si rilevano solamente due o tre decessi e alcune decine di contagiati giornalieri. Lo stesso approccio mirato di rintracciamento dei contatti dei "sospetti" è avvenuto a Singapore, Taiwan, Hong Kong. Solo la Cina, nella provincia di Hubei e la sua capitale Wuhan, ha applicato il "lockdown", la chiusura di tutto e l'imposizione di stare in casa. Solo lì è stato fatto quello che ora sia facendo in tutta Italia. Nel resto della Cina i cinesi sono stati il più possibile in casa per circa un mese e molti non sono andati a lavorare, ma non si veniva fermati e multati dalla polizia se si andava da Pechino a Shangai o si usciva di casa dopo le 18 per fare una passeggiata. Quello che ora stiamo facendo in Italia, il "lockdown" o chiusura totale di tutto dalle Alpi alla Sicilia, è senza precedenti e anche senza una giustificazione razionale perché le percentuali di contagio nel Centro Sud sono simili a quelle di altri paesi che non hanno deciso di chiudere tutto.

IL MODELLO INGLESE
A Londra in teoria sono esposti al contagio più che a Palermo, perché vi passa tutto il mondo, anche gente dalla Cina, da Wuhan, da Lodi o Cremona o Milano probabilmente vi è passata e lo stesso, per ora, le autorità sanitarie non hanno deciso di chiudere tutto. A Palermo, Cagliari o Bari passa meno gente che a Londra o Parigi, le percentuali di contagiati sono simili, ma tutto è stato chiuso e la gente è chiusa in casa con il coprifuoco di polizia. Assurdo.

Le autorità sanitarie inglesi del governo di Boris Johnson anche oggi spiegano che in base ai loro modelli previsionali impedire alla gente di circolare o anche incontrarsi in pubblico ha un impatto secondario e non vale la pena di affrontare tutti i costi sociali, economici e giuridici che questo comporta.
Il governo italiano invece non ha differenziato - come aveva fatto all' inizio - il suo approccio tra diverse zone, alcune affette pesantemente, come in Lombardia, altre che hanno una situazione molto meno pericolosa. Inoltre non ha differenziato tra alcune migliaia di persone "sospette" di aver avuto contatti con i pazienti in ospedale e il resto della popolazione. Eppure una alternativa c'era e meritava di essere discussa. In Corea hanno rintracciato tutti i contatti dei pazienti, li hanno esaminanati e poi se era necessario li hanno messi in quarantena.

Ma questo ha riguardato in tutto alcune decine di migliaia di persone, specificamente individuate e totalmente isolate, e ha funzionato. Da noi invece abbiamo imposto a decine di milioni di persone di vivere agli arresti domiciliari... e si continua a morire. Se si leggono le reazioni degli esperti esteri è difficile trovarne che suggeriscano un "total lockdown" di un intera nazione per decreto. La mentalità della nostra classe politica è invece vietare e punire la maggioranza come rimedio per tutti i problemi. Nel caso del coronavirus però così si perde di vista la lezione che viene dall'Asia, cioè rintracciare tutti coloro che hanno avuto contatti con pazienti per testarli e nel caso isolarli. Si preferisce invece segregare in modo indiscriminato 60 milioni di italiani e affondare un'intera economia.

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