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Filippo Facci: l'assurdo ballo delle mascherine per il coronavirus che fa ridere mezzo mondo

 Filippo Facci

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Non avevamo le mascherine neppure a Carnevale, che non è una battuta ma il ricordo del primo appuntamento di massa sospeso per coronavirus: il Carnevale di Venezia. Già non c' erano, non si trovavano. Dopodiché, oggi, non ci sono, e non si trovano: che è accaduto frattanto? È accaduto che l' accaparramento delle mascherine è stata una gara, e che l' abbiamo persa. In Europa siamo partiti per primi, ma l' abbiamo persa lo stesso. Lasciando da parte le inefficienze di governo e protezione civile - le diamo per scontate - questo Paese ha scoperto che cosa vuol dire delocalizzare e lasciare che a produrre certi beni siano paesi asiatici con manodopera a costi da schiavismo: significa non avere, quanto conta, aziende nostrane che provvedano all' emergenza, e significa veder realizzato finalmente il federalismo: ogni regione ha fatto a modo suo, col pugliese Michele Emiliano che si è rivolto a suoi amici cinesi mentre altri governatori facevano lo stesso con referenti magari poco affidabili, certo, ma nei fatti più affidabili di quanto si è rivelata la Protezione civile.

Già nelle prime due settimane di marzo servivano 90 milioni di mascherine al mese (e guanti in lattice e occhiali medici e tute e calzari di protezione) ma non si riuscivano a importare in quantità sufficiente: non quelle con il filtro - Ffp1 e Ffp2 - né quelle chirurgiche a garza rinforzata. A metà marzo, ospedali, farmacie e volontari avrebbero dovuto riceverne 135 milioni: la Protezione civile ne aveva consegnate 5 milioni, anche se aveva ordini per altri 56 milioni con prenotazioni su ciò che non esisteva ancora: ma 19 milioni, nel frattempo, venivano bloccate. Da chi? India, Turchia, Russia, Romania e la cara Germania: perché il ritardo con cui ci siamo mossi, intanto, era coinciso con la consapevolezza che il contagio si stava muovendo da loro.

 


Forse serviva un ministro degli Esteri, ma c'era Luigi Di Maio che diceva «inaccettabile» una dozzina di volte e infine ha accettato. Le mascherine venivano fermate alle dogane. Come mai si era perso tanto tempo? Qui sta il peccato originale, la ridicola matrice di tutti i mali: accorgersi che nel pieno di una emergenza mai vista, in omaggio al concetto di «spending rewiew», per le mascherine e altri materiali il governo aveva pensato di ricorrere a delle antidiluviane «gare consip» al ribasso, con perdita inusitata di tempo e aste andate regolarmente deserte. Mentre non c' era imprenditore che non annunciasse riconversioni industriali per mettersi a produrre mascherine, nel concreto e nel presente non le produceva nessuno. Così ci arrivavano le elemosine degli altri paesi: la Germania con un milione di pezzi, la Francia con una generica «disponibilità», la Cina con altri cinque milioni e, su tutto, il volto rassicurante di Luigi Di Maio e il celebre Giuseppe Conte del «siamo prontissimi».

In Lombardia, l' assessore al bilancio Davide Caparini occupava tutto il suo tempo a cercare mascherine nei mercati di tutto il mondo. Mentre la gente cantava e ballava dai balconi - e i giornali a inseguirli - il ritardo favoriva altri blocchi alle frontiere di ordini già pagati. Il 24 marzo, Giuseppe Conte e il commissario Arcuri - in diretta tv - avevano promesso forniture in 96 ore: dopo 7 giorni non si era ancora visto nulla. Uno scoop di Marco Mensurati, su Repubblica, forse meritava più attenzione: spiegava che l' imprenditore Filippo Moroni, il 14 marzo, aveva trovato il modo di consorziare 21 aziende cinesi per comprare 50 milioni di mascherine certificate dalla Comunità europea (Fp2, Fp3 e chirurgiche) alla metà del costo previsto dalla ridicola base d' asta indetta da Consip: Moroni aveva scritto alla Protezione civile, a Confindustria, alle Regioni Puglia, Lazio, Lombardia e alle Asl. Niente. La burocrazia aveva fatto muro. Respinto e sfinito dai centralini telefonici, disorientato da funzionari incompetenti e impiegati pigri: alla fine si è limitato a dire «qualcosa deve essere andato storto» e ha alzato bandiera bianca.

Le prodezze della Protezione civile intanto diventavano leggenda: e siamo ai famosi stracci per pulire, quelli coi due buchi per le orecchie (ottimi per gli occhiali, ha osservato Vincenzo De Luca dalla Campania) che non è roba che a Roma non avevano controllato prima di mandarla: le avevano controllate, le mascherine, ma avevano deciso di mandarle lo stesso precisando che l' utilizzo sarebbe stato «sotto la propria responsabilità», in quanto prive del marchio della Comunità europea. Una truffa legalizzata: ci facessero sapere quanto hanno speso. Sicché a fine marzo - misteri all' italiana - milioni di mascherine risultavano ufficialmente inviate, ma alle Regioni non era arrivato nulla.

Il commissario all' emergenza Domenico Arcuri parlava genericamente di «sistema inceppato» e comunque anche le mascherine-fantasma avrebbero rappresentato solo un quinto del fabbisogno nazionale, se ricevute. Non senza un certo coraggio, il commissario annunciava che era stata consegnata una «quantità sufficiente di mascherine all' ordine dei medici Pensiamo che devono essere dotati di una sorta di magazzino di scorta, in modo da poter sopperire o aggiungere dotazioni che vanno direttamente a loro». Cazzate, perché a quanto pare sbagliando non si impara: l' altro ieri risultava che la Protezione civile aveva inviato mascherine definite Fp2 (ad alta protezione) ma che si sono rivelate utilizzabili da medici e infermieri; lo ha rivelato il presidente dell' Ordine dei medici ai responsabili delle varie regioni. Quei dispositivi non erano «autorizzati per l' uso sanitario dalla Protezione civile», quindi ne andava sospesa «immediatamente la distribuzione e l' utilizzo».

E siamo in aprile, e siamo ancora in netta carenza. Le farmacie, intanto, si dividono tra chi appende il cartello «non abbiamo mascherine» e le poche che appendono «abbiamo mascherine», perché se le sono procurate con giri loro a prezzi che lasciamo immaginare. Intanto la procura di Bari ha aperto un' inchiesta sul mercato nero, a Torino una società truffaldina prometteva mascherine dalla Malesia che non esistevano, a Roma hanno scoperto produttori di dispositivi falsi, in tutto il Paese si moltiplicano i furti di mascherine da depositi e container: la globalizzazione non globalizza più, e ciascuno torna alle attività radicate sul territorio. Molti privati donano soldi alla Protezione civile perché acquistino mascherine che quest' ultima, però, in pratica non riesce o non sa acquistare. Ieri a Roma sono arrivati decine di scatoloni con la scritta «Forza Italia» in italiano e in cinese, ma Berlusconi non c' entra: sono un omaggio che l' Inter (calcio) ha donato alla Protezione civile con l' aggiunta di prodotti sanitari, indumenti protettivi e altri prodotti per la disinfezione. Il presidente dell' Inter, Steven Zhang, aveva già elargito 300mila mascherine anche alla città di Wuhan nel periodo di maggiore difficoltà. Il soccorso dei privati, in Cina, era una ciliegina sulla torta. In Italia è la torta.

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