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Fase 2, Pietro Senaldi: il curioso caso delle biciclette? La prova di un governo allo sbando

Pietro Senaldi
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Il governo giallorosso-rosso è come il gambero, fa un passo avanti e due indietro. Siamo a una settimana dalla ripartenza, lunedì 4 maggio, e il governo, con il suo codazzo di 500 consulenti più o meno titolati, ha partorito un protocollo di istruzioni per le aziende che potrebbe tranquillamente comparire sul Manuale delle Giovani Marmotte sotto il titolo «I consigli di Nonna Papera». Sintetizziamo senza banalizzare - sarebbe impossibile scarnificarlo ulteriormente - i consigli degli esperti alle aziende. Primo: non fate entrare dipendenti contagiati; geniale. Secondo: se qualcuno può lavorare da casa, fatecelo rimanere; per la serie, cosa è stato fatto finora? Terzo: pulite i locali tutti i giorni e se siete in una zona che è un focolaio Covid, sanificate meglio e più di frequente; qui si vede la mano di Colao, o forse addirittura di Conte, anzi di più, di Casalino. Quarto: fate entrare meno gente possibile in azienda; non ci aveva pensato nessuno prima. Quinto: obbligate le persone a lavarsi le mani con acqua e sapone; così, senza concertazione con i sindacati? Arduo. Sesto: tenete il più lontano possibile i dipendenti tra di loro e dotateli di mascherine, meglio se omologate; sarebbe stato bello se l' altro ieri la maggioranza, in Parlamento, avesse dato il buon esempio, osservando le leggi che si era data, anziché assembrarsi, violandole, per affossare l' ordine del giorno dell' opposizione. Settimo: cercate di scaglionare gli orari di lavoro; e qui niente da eccepire.


LA STRATEGIA
Per non sbagliare, o non finire a contraddirsi l' uno con l' altro, gli esperti non hanno detto nulla di illuminante. Le aziende sono state abbandonate al loro destino con indicazioni generiche, che permettono ogni tipo di contestazione successiva e di scaricabarile da parte delle autorità. La strategia della fase due è del tutto simile a quella della fase uno: lo Stato tratta cittadini e aziende come deficienti, salvo poi delegare agli stessi ogni decisione. Normalmente la responsabilizzazione va di pari passo con la libertà, nella gestione della pandemia invece ci è stata negata la seconda ma ingigantita la prima. Il risultato è che le aziende oscillano tra panico paralizzante e tragicomica autarchia. E con esse le città. Prendiamo Milano, che è la capitale economica del Paese, nonché il capoluogo più colpito, ma il discorso potrebbe valere per molti altri Comuni. Il sindaco Sala aveva portato per mano la città dentro il contagio al grido di Milano non si ferma, stampato pure sulle magliette. Due mesi dopo la città è ingessata e con essa il primo cittadino, che non si è ancora ripreso dallo choc di quella frase, che resterà come un epitaffio a suggello della sua esperienza a Palazzo Marino. Il capoluogo lombardo deve il suo dinamismo a una metropolitana capillare, ma a oggi nessuno sa come l' azienda dei trasporti locale riuscirà a far viaggiare il milione e 400mila pendolari che ogni giorno arrivano in città.

La Raggi a Roma, in una città dove le rotaie hanno molta meno importanza, ha fatto un tentativo per testare la sostenibilità delle nuove norme rispetto alla realtà quotidiana. È fallito, ma almeno Virginia ci ha provato. Milano invece non ci prova neppure. Il piano trasporti è demenziale: favorire l' uso della bicicletta, creando trenta chilometri di piste ciclabili con il gesso sulle strade. Così, come viene, come se uno potesse venire da Garbagnate (22 chilometri dalla città) pedalando, o come se tutti i milanesi lavorassero a cinque minuti da casa o fossero più allenati di Gimondi ai tempi del Tour de France, o come se non andassimo incontro a una stagione durante la quale, dopo trecento metri la camicia inizia a diventare a chiazze, di sudore. L' altra idea è allungare la giornata di lavoro. Andremo in banca alle 6 del mattino, in negozio alle 11, al ristorante alle 18 e dal dentista alle 21; sempre che qualcuno dopo non ci multi perché stiamo troppo in giro. Il mezzo più sicuro è l' auto, ma il sindaco ha pensato bene di tagliare i posteggi, casomai qualcuno non volesse rischiare l' infarto pedalando per chilometri a 30 gradi.

 

 


IL FINE SETTIMANA
Il caos però è in tutta Italia. Colpa di indicazioni vaghe che di un continuo susseguirsi di comunicazioni che cambiano il perimetro di gioco e si rimandano l' una con l' altra in un grottesco balletto di responsabilità dal centro alle Regioni e alle città. Le aziende sono sgomente. Il momento più temuto è il fine settimana, quando i Giuseppi (Conte e Sala) amano uscire con le loro trovate a effetto. Nell' incertezza, e con la paura di sbagliare e rimetterci le penne, c' è chi sceglie misure drastiche, tipo lager, che blindano la sicurezza ma mettono a rischio la produttività, e chi assolda esperti e virologi sui quali scaricare ogni responsabilità. Vengono offerti contratti a cinque zeri a scienziati dei quali girano su internet filmati in cui si attesta che non ci avevano capito nulla.
In questa Babele, si ascoltano le soluzioni più disparate. Chi posiziona le scrivanie a un metro e chi a tre. Qualcuno medita di mettere alle persone un braccialetto, come ai carcerati, che suoni quando viene violata la distanza di sicurezza. C' è perfino qualcuno che progetta di costringere i dipendenti a indossare due mascherine in un colpo, crepi l' avarizia, o chi vuol obbligare il personale a disinfettare il pulsante della macchinetta del caffè ogni volta che lo tocca, mentre i più cauti progettano addirittura di vietarne l' uso. Insomma, l' attesa liberazione non c' è ancora e già in molti rimpiangono gli arresti domiciliari. Ma forse è proprio quello a cui Conte mirava; per questo non ha fatto assolutamente nulla per agevolare la ripresa.

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