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Coronavirus e Fase 2, Filippo Facci: "Nel silenzio generale la mafia si mette in tasca l'Italia"

Filippo Facci
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Ecco la fase 2. Le lentezze di un governo che fabbrica crisi stende una passatoia su cui la mafia cammina tranquilla, e sporca pure, lasciando tracce non di stivali, ma di mocassini. Noi intanto ci barcameniamo nel timore che una larga parte del Paese torni disperatamente ad aver bisogno di loro, sempre di loro, del loro aiuto, il loro soccorso, persino il loro cibo, il loro anti-Stato fatto di qualche occupazione nell' economia sommersa. Alla fase 2, la mafia, è passata da almeno venticinque anni: ha chiuso in una bara «Cosa nostra» (o al 41 bis) che era la vecchia mafia corleonese con le sue struttura gerarchico-militari, le cupole, i killer, i picciotti e le bombe. Anche gli orfani dell' antimafia sono archeologia giudiziaria, ormai, e persino gli sceneggiatori e i saviani faticano a star dietro agli aggiornamenti.

Se l' hanno chiamata «operazione mani in pasta» va chiarito che la pasta siamo noi, Paese di agnelli zoppicanti e malaticci su cui i lupi hanno già infilato i denti o si preparavano a farlo. Poi vai a capire se la Dda di Palermo (guidata da Francesco Lo Voi) abbia lavorato di fino o abbia usato il rastrello: sta di fatto che si è mossa in 9 regioni con 91 arresti. Comunque si chiama «criminalità organizzata» (da un pezzo) o meglio ancora «organizzazioni criminali» che per eredità culturale nascono al Sud ma per vocazione naturale seguono il denaro, quindi - in Italia - eccole al Nord. Chiamarli ancora «clan» fa un po' ridere (come chiamare «fabbrica» la Apple) ma il gip ha comunque colpito i clan dell' Acquasanta e dell' Arenella (storiche famiglie mafiose palermitane, i Ferrante, i Fontana) e ha autorizzato gli arresti e i provvedimenti scrivendo che «con il lockdown ci sono forme di soccorso mafioso prodromiche al reclutamento di nuovi adepti, carenza di liquidità delle aziende sono occasione per usura, per riciclaggio ed estorsione». Gli affari ovviamente sono delocalizzati soprattutto a Milano. Perché a Milano, tra il volgo, non ci sono più neanche i soldi per comprarsi la cocaina: meglio puntare su turismo e ristorazione, su aziende pulite da taglieggiare e «aiutare» con comodi interessi chiamati usura. I soldi del governo, già pochi, non arrivano, non arrivano mai, mentre lo strozzino è lì che aspetta. Le aziende sull' orlo della crisi sono veramente tante: così si insinuano e ipotizzano reati di associazione mafiosa, estorsione, intestazione fittizia di beni, ricettazione, riciclaggio, traffico di droga, frode sportiva, truffa, tutto il campionario. Dalla droga agli appalti, dagli orologi ai cavalli, attività ortofrutticole, scommesse online e delle slot-machine, poi vabbeh, un po' di tradizione con smercio di cocaina. La lista delle attività sottoposte pizzo fa paura: l' operazione ha portato a sequestri di beni per 15 milioni di euro in Sicilia, Lombardia, Piemonte, Liguria, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Marche e Campania. Si sono mossi almeno 500 uomini delle Fiamme Gialle, anche con un aereo e i cani. È come descrivere un' operazione di guerra: c' è poco da minuziare sulle carte.

Ripresa stentata - «Forme di soccorso mafioso prodromiche a reclutamento adepti» è stata l' espressione del giudice per le indagini preliminari Piergiorgio Morosini.
Quindi non solo aiutare: ma intruppare, cooptare nell' organizzazione criminale. Lo scenario lo conosciamo, il gip l' ha chiamato «contesto assai favorevole per il rilancio dei piani dell' associazione criminale sul territorio d' origine e non solo».

Non solo, no. «Il distanziamento sociale e il lockdown, imposti dai provvedimenti governativi per il contenimento dell' epidemia, hanno portato alla totale interruzione di moltissime attività produttive, destinate, tra qualche tempo, a scontare una modalità di ripresa del lavoro comunque stentata e faticosa, se non altro» si legge «per le molteplici precauzioni sanitarie da adottare nei luoghi di produzione». Senza contare che i ritardi nei pagamenti della cassa integrazione ha consegnato un sacco di gente ai clan, anche se ci sono regioni - la stessa Lombardia - che apposta hanno anticipato i soldi: se aspetti il governo campa cavallo e campa mafia. Il gip Morosini non fa sociologia giudiziaria, in fondo fa solo cronaca: «Il blocco delle attività di tanti esercizi commerciali o di piccole e medie imprese ha cagionato una crisi di liquidità difficilmente reversibile per numerose realtà produttive, in relazione alle quali un interessato sostegno potrebbe manifestarsi nelle azioni tipiche dell' organizzazione criminale». Che sono appunto l' usura, il riciclaggio, l' intestazione fittizia di beni, le estorsioni, la progressiva sottrazione di aziende ai titolari. Alla criminalità organizzata i soldi non mancano. Ma sarebbero guai anche per i semplici lavoratori, questo «alterando la libera concorrenza tra operatori economici e indebolendo i meccanismi di protezione dei dipendenti».

Prima si parlava di storiche famiglie siciliane, ma i fratelli Angelo, Giovanni e Gaetano Fontana vivono a Milano da un sacco di tempo. Hanno spostato gli affari e riciclano denaro legato alle peggio cose. Una vera e propria delocalizzazione della famiglia, ma anche di attività commerciali, produzione e commercio per esempio di caffè. Ormai si ricicla in tutti i modi: persino comprando cavalli di razza e puledri, o truccando gare agli ippodromi di Milano, Torino, Villanova d' Albenga, Siracusa e Modena. Tra i sequestri infatti risultano persino 12 cavalli. I sub-appalti erano praticamente su tutto, «una odiosa forma di sfruttamento parassitario delle altrui iniziative economiche che consente di controllare ogni attività sul territorio (panifici, bar, agenzie di gioco, mercato ortofrutticolo) e che mantiene le famiglie dei mafiosi quando questi sono in carcere». Un dettaglio: la gente non denuncia. I Fontana restano una famiglia storica di Cosa nostra a Palermo (ne parlò già Tommaso Buscetta) e al vertice ora dovrebbe esserci Gaetano Fontana, scarcerato per decorrenza dei termini nel 2013. Poi ci sono i Ferrante, Domenico Passarello, ed è spuntato persino un ex concorrente del Grande Fratello, Daniele Santoianni, uno che ha partecipato alla decima edizione e ora è ai domiciliari con l' accusa di essere un prestanome di una ditta di caffè. Qualche appassionato di stampa rosa magari andrà a interessarsi di cose mafiose, ora.

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