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Vittorio Feltri e il libro di Antonio Padellaro: quando l'ex direttore stava per saltare in aria insieme all'Olimpico

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Secondo l'andante degli eventi epocali, tutti ricordiamo dove eravamo e che cosa facevamo l'11 settembre 2001, quando le Twin Towers vennero abbattute nell'attentato islamico che ha dato il via al terzo millennio; ma nessuno si ricorda che cosa faceva e dov' era il pomeriggio del 23 gennaio 1994, perché l'autobomba mafiosa piazzata davanti allo stadio Olimpico durante Roma-Udinese, che avrebbe potuto fare un numero di vittime paragonabile a quello delle Torri Gemelle, non esplose. Era una Lancia Thema verde metallizzato riempita con un "parmigiano", una forma di 3-400 chili di esplosivo in polvere compresso dentro sacchetti di plastica, legato e arricchito con tondini di ferro spezzettati e chiodi. In più, allo scoppio, i brandelli dell'auto e i frammenti di cemento del selciato divelto. Forse fu una coincidenza, il funzionamento difettoso del telecomando, forse altro. Di quello scampato pericolo si è persa memoria, e non è un bene; mentre è un bene che il giornalista Antonio Padellaro ce lo ricordi con un libro, piccolo ma compatto, La strage e il miracolo (Paperfirst, 103 pagine, 10 euro). Leggerlo mette brividi. Se le cose fossero andate come Cosa Nostra voleva, il risultato sarebbe stato così enorme che l'asse della storia d'Italia probabilmente si sarebbe spostato. 

 

DISTINTI SUD
Padellaro sa di quel che parla, non solo perché è valente e attento, ma perché quel giorno c'era. Era abbonato al campionato della Roma, un mattoncino di biglietti Distinti Sud. Essere un Distinti Sud, scrive Padellaro, è una precisa scelta di vita, non poter essere uno da tribuna ma saper guardare la partita di sbieco con fierezza: un Distinti Sud «accetta come il necessario martirio a testimonianza dell'incrollabile fede, l'esercizio costante e irredimibile della prospettiva obliqua rispetto al campo di gioco. Ma non se ne lamenta». Padellaro era andato allo stadio con la moglie Paola e i due figli Matteo e Marco, ignaro come tutti del pericolo. Il bersaglio principale era il pullman pieno di carabinieri del servizio d'ordine, secondo i conti di Cosa Nostra ne dovevano morire almeno un centinaio, ma se l'autobomba fosse esplosa come previsto all'uscita del pubblico, oltre 44mila persone, il danno sarebbe stato incalcolabile. Nel complesso la stagione delle bombe tolse la vita a 135 persone e ne ferì 500, con otto stragi in 15 anni. Ma il 1993 e il 1994 sono anni di svolta nella storia del braccio di ferro fra Stato e Mafia: dopo Falcone e Borsellino nel 1992, gli attentati cambiano obiettivo, non sono più rivolti ai nemici diretti, ora lo scopo è di spaventare e uccidere in mezzo alla gente e nei luoghi simbolo, creare pressione sociale e sfiducia nelle strategie del governo, indurlo a trattare con Cosa Nostra una pax sceleris di convivenza tramite l'aggiustamento dei processi ai boss e l'allentamento del 41bis. 

Così, nel 1993, in via Fauro fallisce per poco l'attentato esplosivo a Maurizio Costanzo, una settimana dopo, il 27 maggio, in via dei Georgofili a Firenze un'autobomba uccide cinque persone, il 2 giugno viene scoperta un'altra autobomba nei pressi di Palazzo Chigi, la notte del 27 luglio ne scoppiano tre, una in via Palestro a Milano, e a Roma in piazza San Giovanni in Laterano (danneggiando la Basilica e il Palazzo Lateranense) e pochi minuti dopo all'esterno della chiesa di San Giorgio al Velabro. Altri cinque morti. L'attentato fallito all'Olimpico del gennaio 1994 ha come mandante Giuseppe Graviano, reggente con il fratello Filippo del mandamento di Brancaccio-Ciaculli, uno degli "orfani" di Totò Riina, che era stato arrestato l'anno prima. Gli esecutori sono l'affiliato pluriomocida (poi pentito) Gaspare Spatuzza e Salvatore Benigno, insospettabile studente di Medicina. Al pari di quanto si è detto all'inizio, anche Padellaro non ricorda nulla di Roma-Udinese, forse perché sono passati troppo tempo e troppe partite, forse perché i giallorossi, scrissero i quotidiani il giorno seguente, fecero schifo, e infatti persero due a zero. E forse perché la giornata sportiva venne offuscata dalla notizia della "discesa in campo" di Silvio Berlusconi, lo stesso giorno, poi ufficializzata il 26 gennaio. 

 

LA MEMORIA
Durante il lockdown si faceva ordine in casa e si buttavano le cose lasciate negli angoli. Quando Padellaro si è ritrovato in mano il vecchio abbonamento, quella giornata è resuscitata ed è come se avesse preso a inseguirlo e insieme spinto a inseguire lui stesso la memoria. Per questo il racconto, costruito tramite frammenti, articoli, testimonianze e trascrizioni, è inframmezzato da spunti personali, ricordi, riflessioni sul calcio. Ma sopratutto fa capolino uno scopo non cronachistico, che ha due marcatori, il racconto della sua educazione gesuita e quello del pentimento di Spatuzza. Questo libretto sembra un ringraziamento per ciò che non è avvenuto, una specie di ex voto. Così, accanto alla spiegazione ufficiale e meccanicamente esatta del fallimento del peggior attentato di quegli anni, cioè che il telecomando per aerei giocattolo, forse per la distanza o per le schermature elettroniche delle auto delle autorità, non azionò l'esplosione (mentre aveva funzionato benissimo quando i sicari l'avevano provato facendo accendere delle lampadine) Padellaro ne accenna un'altra. Spatuzza, secondo le sue confessioni e le testimonianze, era stanco di uccidere. In carcere non solo divenne collaboratore di giustizia, ma si convertì al Cristianesimo. 

Il 16 settembre 1993 aveva partecipato all'omicidio di Don Pino Puglisi, il quale all'arrivo di lui e dell'altro, Salvatore Grigoli, che sparò materialmente, disse che li stava aspettando e poi cadde sorridendo. Da allora qualcosa era cambiato. Non ci sono prove che Spatuzza abbia rinunciato a dare l'ordine a Benigno di premere il pulsante che avrebbe comandato l'esplosione; piuttosto le testimonianze concordano sul fatto che una volta fatto cilecca, abbia come colto la palla la balzo e costretto il compare, che voleva continuare a tentare, a rimontare sulla moto, ad andare via e lasciar perdere. In questo caso, non sarebbe più un attentato fallito ma una salvezza riuscita. 

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