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Coronavirus, il governo ha scaricato medici e infermieri: "ma non erano "eroi"?

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Foto: Lapresse

Fausto Carioti
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 Da eroi del Covid ad ultima ruota del carro pubblico il passo è stato brevissimo. Un pugno di mesi, il tempo di vedere crollare la curva dei contagi e che arrivassero (anzi, che fossero promessi) i miliardi veri, quelli dell'Unione europea, e gli uomini e le donne in camice sono stati dimenticati, assieme a tutti gli impegni verbali generosamente elargiti (tanto erano gratis) in quei giorni bui. Parole come «medici e infermieri stanno dando prova di un coraggio che commuove e inorgoglisce l'Italia intera. Approfittiamo di questo momento per ridefinire la gerarchia dei nostri valori», pronunciate da Giuseppe Conte. Oppure quelle di Roberto Speranza: «Il servizio sanitario nazionale italiano è uno dei migliori del mondo e dobbiamo difenderlo con tutte le energie che abbiamo. Siamo qui per ringraziare medici, infermieri e professionisti e tutti coloro che lavorano per reggerlo. Questo è un punto di partenza».

 

Erano balle da politicanti, pure queste. Il momento di mostrarsi grati, di ridefinire le gerarchie, di fare una nuova partenza è arrivato. Ma di medici e infermieri, nel governo nessuno parla più. Forse perché dal punto di vista che per i partiti conta davvero, quello elettorale, le categorie "redditizie" sono altre. Basta vedere le "liste della spesa" che ministri e sottosegretari sfornano a getto continuo da quando Conte è tornato da Bruxelles con la promessa di quei quattrini. C'è tanto Sud, ovviamente, declinato in tutti i modi: la formazione nel Mezzogiorno (un classico delle politiche meridionaliste, da decenni), l'Ilva di Taranto, infrastrutture ancora da disegnare Sono in arrivo soldi e assunzioni per bidelli e insegnanti. Trattamento preferenziale per i dipendenti di Alitalia «nessuno dei quali sarà un esubero» (Stefano Patuanelli dixit), anche se la "nuova" compagnia avrà un terzo della flotta in meno. Ulteriori miliardi finiranno nel buco nero del reddito di cittadinanza. Non un accenno, però, a chi ci ha salvato la pelle lavorando giorno e notte nella peggiore delle situazioni, e tra qualche mese potrebbe ricominciare a farlo. Lo stesso ministro Roberto Speranza sinora è stato vago sull'argomento.

Così la tensione col governo torna ad alzarsi. Un malcontento che, con il virus non ancora debellato, trova sfogo soprattutto nelle discussioni tra addetti ai lavori. Sulla rivista online Quotidiano sanità, ieri è apparsa una lunga analisi firmata da Costantino Troise, presidente di Anaao Assomed, il sindacato più rappresentativo tra i medici. La delusione nei confronti del governo che li ha fatti tornare «invisibili» è evidente. Grazie al fondo europeo per la ripresa «abbiamo le risorse per un piano Marshall della sanità pubblica», scrive, «ma non, ancora, un piano per i medici pubblici. Che oggi, finita la retorica degli angeli e degli eroi, sono tornati nell'invisibilità politica con i problemi di sempre, accentuati».

 

 

Tanto che «neppure tra le cinque "tracce fondamentali", citate dal ministro della Salute in una recente intervista a Il Messaggero, compare il personale, e le questioni relative a quel capitale umano che delle organizzazioni complesse rappresenta la maggiore risorsa». Non c'è l'ombra di un dibattito, lamenta il rappresentante dei medici, nessuna preoccupazione per il fatto che «oggi i medici ospedalieri sono una risorsa tanto preziosa quanto scarsa, visto che nemmeno l'epidemia è riuscita a riempire i vuoti provocati nell'ultimo decennio, se non per il 50%, al Nord prevalentemente e prevalentemente all'insegna del precariato». Col paradosso che si parla di nuovi ospedali senza affrontare il nodo di chi ci dovrà lavorare dentro. Ma «che senso ha investire in ricerca se ai ricercatori si offre solo un precariato stabile, mortificante dal punto di vista giuridico ed economico? Che senso ha destinare ingenti risorse all'edilizia ospedaliera se non si rende attrattivo il lavoro medico negli ospedali?». C'era un unico aspetto positivo, nell'epidemia, ed era la lezione che la classe politica italiana avrebbe dovuto ricavarne: cambiare i criteri della spesa pubblica, mettendo in cima chi salva le vite e risparmiando su assistenzialismo e marchette. Occasione subito sprecata, a quanto pare.

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