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Sondaggi sul referendum di settembre, brutte notizie per il M5s: due italiani su tre lo ignorano

Tommaso Montesano
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Fortuna che in contemporanea, in sette Regioni, si voterà anche per eleggere i governatori. Altrimenti a recarsi al seggio per decidere se dire «Sì» o «No» al taglio dei parlamentari sarebbero davvero pochi intimi. Non che l'affluenza alta o bassa cambi qualcosa, visto che trattandosi di un referendum confermativo - e non abrogativo - non è richiesto il raggiungimento del quorum per la sua validità. Epperò: un conto è trascinare alle urne masse entusiaste di elettori, altro è assistere a una votazione in sordina. Eppure è questo, quando mancano tre settimane all'apertura dei seggi, lo scenario più probabile. Secondo Nando Pagnoncelli, numero uno di Ipsos Italia, solo il 35% dei cittadini, ossia un italiano su tre, è a conoscenza della posta in gioco il 20 e il 21 settembre: la sforbiciata di 230 seggi a Montecitorio e di 115 scranni a Palazzo Madama. Un giudizio condiviso, nei giorni scorsi, anche da Alessandra Ghisleri, direttore di Euromedia Research, che analizzando i rilievi delle prime settimane di agosto ha sentenziato: «Moltissimi non sapevano che oltre che per alcune Regionali si dovesse votare anche per un referendum». Sarà il quesito troppo tecnico, sarà che la mente è occupata dal caos sulla riapertura delle scuole, sarà l'ansia degli assembramenti prima di entrare in cabina elettorale.

 

 

Tant' è: il voto non scalda i cuori degli italiani. E dire che oggi va addirittura meglio di un mese fa. «A fine luglio solo il 22% degli elettori sapeva del referendum. Adesso la percentuale è raddoppiata, ma questo non significa che chi conosce il quesito prenderà posizione», avverte Antonio Noto, direttore di Noto Sondaggi. L'aumento di conoscenza è favorito dal fatto che in sette Regioni - Valle d'Aosta; Liguria; Veneto; Toscana; Marche; Campania e Puglia - si voterà anche - e soprattutto - per eleggere i governatori. «Saranno sfide destinate a trascinare in alto la partecipazione al referendum, anche se nelle Regioni più importanti, come Lombardia e Lazio, questo non avverrà».

BATTAGLIA POLITICA
E dire che il quesito ha tutto per favorire un'alta affluenza. «È un voto di pancia, non servono manuali di diritto costituzionale per appassionare gli italiani, come sta cercando di fare, senza successo, La Repubblica», osserva Nicola Piepoli, direttore dell'omonimo istituto di ricerca. Peccato che l'interesse intorno al referendum sia aumentato in questi ultimi giorni grazie alla discesa in campo dei «testimonial del Sì e del No», afferma Noto. «Essendo una tematica tecnica, gli elettori si faranno un'opinione in base all'orientamento dei loro riferimenti politici. È un percorso che va metabolizzato». Con un pericolo, per il Movimento 5 Stelle, grande sponsor del «Sì»: «Che accada come nel 2016 in occasione del referendum costituzionale costato carissimo a Matteo Renzi. Ovvero che un quesito tecnico si trasformi, con il passare del tempo, in una partita politica». Sarebbe a dire: voto non in base al merito dell'argomento, ma a ciò che conviene di più per fare un dispetto al mio avversario. Così la confusione aumenta. Da qui la tendenza dei pentastellati, fiutata l'aria che inizia a tirare, di non personalizzare troppo l'appuntamento di settembre.

A proposito: la partita come sta andando? «Il "Sì" è sempre stato in vantaggio, ma il trend ora è diverso. Siamo passati da un match senza storia - 80% contro 20% - ad un incontro giocabile: ora il rapporto è 60-40. Il "No" è in recupero». Una percentuale appena ritoccata da Piepoli: «Il "Sì" è passato dal 90% iniziale all'attuale 70%. Il "No" non è marginale, ma al momento non ha la forza di imporsi. Servirebbero una discussione pubblica e, soprattutto, più tempo».

INCOGNITA COVID
Sulla partita, poi, c'è l'incognita Coronavirus. Con il "tam tam" su distanziamento e pericolo assembramenti che potrebbe scoraggiare gli elettori dal recarsi al seggio. «Il fattore Covid è imponderabile», ammette Noto, «gli elettori potrebbero essere tentati di tornare a casa qualora si trovassero di fronte, davanti all'ingresso del seggio, a file lunghissime». File lunghissime non per l'affluenza, ma per le procedure di controllo sanitario prima di prendere in mano scheda e matita. Piepoli è cauto sulla partecipazione al voto: «Oggi il 75% degli elettori dice che andrà a votare. Ma quelli che poi realmente escono di casa con la tessera elettorale in tasca sono - a dire tanto - la metà». Sorprendente, visto che il tema, il taglio delle poltrone, ha tutto per attirare ai seggi. «I cittadini sanno benissimo che è inutile andare a votare: non c'è quorum», sentenzia il sondaggista. E qui tornano in ballo le elezioni locali: «Nelle sette Regioni dove si voterà per eleggere il presidente è facile supporre che l'affluenza supererà il 50%. Questo, unito al duello per i sindaci di grandi città come Venezia e Reggio Calabria, avrà l'effetto di un traino per il referendum».

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