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Pietro Senaldi e Matteo Salvini "da fare fuori": "Ucciderlo, solo così la sinistra può vincere"

Pietro Senaldi
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Vogliono il segretario della Lega morto, ormai non si vergognano neanche più di dirlo senza mezzi termini. «Salvini appeso» è il messaggio che campeggia sulla pagina-manifesto elettorale di Instagram di Fabio Tumminiello, candidato del Pd di Venaria Reale. La Lega ha sdrammatizzato, pubblicando un fotomontaggio dove a fianco alla scritta minacciosa compare il ragazzo con un bicchiere in mano; come a dire, lo scusiamo, ha bevuto, anche se questa sarebbe in realtà un'aggravante. Il benvenuto che la sinistra locale dà all'ex ministro dell'Interno, atteso per domani in Piemonte, fa cascare le braccia. Il Pd si è dissociato; dalla scritta ma non dal candidato, che resta in corsa sotto le sue insegne. Manca solo costringerlo a bere un po' di olio di ricino, e poi gli antifascisti avranno esaurito il corollario di intimidazioni e minacce nei confronti del leader della Lega. Nel suo tour elettorale Matteo è stato strattonato, assalito, trasformato in bersaglio di insulti e lancio di oggetti, impedito di tenere comizi, senza che si sia levata una sola parola a sua difesa dagli spiriti nobili e progressisti che ogni volta che perdono le elezioni si dichiarano angosciati per lo stato della democrazia in Italia, salvo poi brigare con ogni mezzo per andare al governo senza passare dal voto. Una caccia all'uomo astiosa e violenta quanto quella di cui fu vittima Berlusconi per vent' anni. L'obiettivo è lo stesso: far fuori con le maniere forti chi non si riesce a battere con le elezioni.

 

 

 

Gli alleati  - Sempre i medesimi sono anche gli alleati che la sinistra si sceglie allo scopo: quattro disperati dei quali fomenta l'odio, che la base di M5S e Pd riversa in piazza in maniera immancabilmente più scomposta rispetto ai simpatizzanti del centrodestra, e la parte ideologizzata della magistratura, che monta inchieste nebulose le quali fanno molto clamore ma difficilmente approdano a qualcosa. L'ultima di queste indagini è quella sui commercialisti consulenti della Lega arrestati per aver gonfiato la compravendita di un immobile. Un fattaccio che i più autorevoli giudiziaristi italiani da giorni cercano di collegare ai 49 milioni di rimborsi elettorali della Lega di Bossi dei quali non si conosce l'utilizzo, malgrado nelle carte del processo i pm non facciano il minimo accenno alla somma. I tre, che non hanno la tessera del Carroccio e non sono mai stati candidati da Salvini, sono stati fermati dopo oltre un anno di indagini nelle quali è stata fatta la radiografia a tutta la dirigenza e sono stati passati sotto la lente i conti della Lega, senza al momento trovare notizie di reato. È il capovolgimento delle regole della giustizia penale, che dovrebbe partire da un reato per trovare un colpevole, ma quando si tratta del centrodestra comincia dall'individuo e ne scannerizza la vita alla disperata ricerca di comportamenti illegali. Se non lo trova, solleva comunque un polverone tale da infangare il leader della Lega o chi per esso.

I tempi giusti - La macchina giudiziaria si muove sempre allo stesso modo, preferibilmente sotto elezioni. Parte l'inchiesta, le informazioni sono fatte filtrare dalle procure a pezzi, giorno dopo giorno, così che all'opinione pubblica risulti impossibile avere un'idea d'insieme e i giornalisti allineati possano gettare nel frullatore tutto ciò che è funzionale a screditare l'indagato. Solitamente il lavoro viene fatto con voli pindarici, prosa fumosa e piglio complottista, così che il lettore si aspetti a ogni riga di leggere che le mani del politico di centrodestra grondano sangue. Ma questo non avviene mai, e più si infittisce il racconto, meno è possibile capirci. Il tutto è poi ravvivato da intercettazioni decontestualizzate che riportano brevi frasi di conversazioni che non vengono mai collocate adeguatamente nell'inchiesta. La pratica è diventata talmente oziosa da perdere qualsiasi efficacia e pathos. Non solo; presso l'elettorato di centrodestra, che ritiene spesso queste inchieste un tentativo di alterare il gioco democratico e ne trae ragione per correre alle urne anche se magari non ci sarebbe andato, l'inchiesta ha per lo più un effetto opposto da quello sperato da chi la cavalca. Questo non farà mai sì che la sinistra demorda rinunciando alla sua strategia politica preferita: far fuori con inchieste, non importa quanto bislacche, lacunose o parziali, gli avversari, con la complicità di una gran cassa mediatica faziosa.

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