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Vaticano, la rassegna stampa del Santo Padre non si occupa dello scoop di Libero che scagiona il cardinale Becciu

Brunella Bolloli
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Leggono Libero ma non lo ammettono, per paura nascondono al Papa l'inchiesta del nostro giornale. Nei sacri palazzi regna l'omertà sulla vera storia che ha coinvolto, suo malgrado, il cardinale Angelo Becciu, basta sfogliare la rassegna stampa vaticana, di solito una delle più approndite, per accorgersi che si parla di tutto, tranne che del killeraggio mediatico scoperto da Libero ai danni del porporato. «Anche Dio in fuga dal virus», «Così Bergoglio cambia l'economia», «Il Nagorno Karabakh» e «L'Uganda dei profughi», sono solo alcuni dei titoli selezionati dal Dicasterium pro Communicatione della Santa Sede. E lo scoop del direttore Vittorio Feltri? Se i canali ufficiali lo silenziano, il sito plurilingue "Il Sismografo", diretto dal cileno Luis Badilla, conoscitore come pochi delle vicende di Chiesa, ha rilanciato integralmente i tre articoli di questi giorni e risulta che su 7.600 computer vaticani ben 3.400 abbiano scaricato le nostre pagine che mostrano l'imbroglio ordito contro Becciu per farlo dimettere, sms della sedicente 007 Geneviève Putignani inclusi.

Comprendiamo l'imbarazzo di chi, colto in fallo, non sa cosa dire, imbarazzo tanto più evidente sul sito del settimanale L'Espresso da cui è partita la campagna che ha portato alle dimissioni del religioso accusato di essersi intascato soldi del Vaticano o comunque di averli girati ai parenti o agli amici: ieri non c'era una riga sull'argomento. L'ultimo riferimento risale al 18 novembre ed è l'editoriale con cui il direttore, Marco Damilano, si stupisce del fatto che il prelato di origini sarde abbia querelato il giornale chiedendo anche un risarcimento danni di 10 milioni di euro. «Stupefacenti», scrive Damilano, «le motivazioni che il cardinale Becciu espone per spiegare la sua decisione». In verità, sconcerta ciò che Libero ha tirato fuori e cioè che l'autore del "servizio-imbroglio", il 35enne Massimiliano Coccia, non è un giornalista (per sua stessa ammissione) anche se conosce bene tanti colleghi che gli hanno aperto le porte giuste. Grazie a un'intervista a Marco Pannella di anni fa, Coccia è approdato a Radio Radicale con cui aveva un contratto di collaborazione ormai in scadenza che non sarà rinnovato, anche perché nel frattempo è arrivato il lavoro al settimanale diretto da Damilano.

 

 

 

 

 

Forse il contratto con la storica emittente dei Radicali si sarebbe chiuso comunque, ma è un fatto che l'avere omesso alcuni dettagli, primo fra tutti la messa in prova ai servizi sociali, ha accelerato la fine delle trasmissioni. Nessuno, infatti, sapeva nulla dei suoi trascorsi da "pubblico ufficiale" colpito da un provvedimento del tribunale di Roma del 27 febbraio 2019 che lo spedisce a compiere lavori di pubblica utilità presso una cooperativa sociale rivolta a "quelli che hanno sbagliato". Coccia ammette di essere sottoposto a un provvedimento per falso materiale, si appiglia al fatto che non è una condanna, smentisce di rientrare nelle varie categorie di pubblico ufficiale definite dall'articolo 476 del codice penale. A Libero dice che la sua fedina è pulita e che si sente lui vittima di un «dossieraggio». «Mi limito a rilevare che il presupposto del vostro articolo sarebbe riscontrato dall'immagine di un bigliettino, che peraltro non riporta le generalità del sottoscritto. Il mio percorso professionale è dimostrabile da oltre 2mila interviste all'attivo, inchieste e articoli». Eppure, il nuovo segugio dell'Espresso non chiarisce come si è potuto trasformare in don Andrea Andreani, né spiega le mail per combinare l'incontro tra Enrico Rufi e il Santo Padre («quell'incontro c'è stato davvero, andammo a portargli il libro scritto dai detenuti, solo che Rufi non è venuto»), i contorni di una vicenda ambigua in cui c'è di mezzo un padre che ha perso sua figlia e che si è sentito profondamente preso in giro.

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