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Giuseppe Conte, fine delle illusioni. Se anche Federico Rampini e Massimo Cacciari mollano il governo

Gianluca Veneziani
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Ha perso da tempo l'appoggio di cittadini e categorie produttive, ma ora fa molto male al governo anche il venir meno del sostegno degli intellettuali. Uno smacco doloroso, sia perché parte di quei pensatori orbita attorno alla sinistra e in teoria dovrebbe essere il miglior puntello per l'esecutivo giallorosso; sia perché molte di quelle voci critiche provengono dal mondo accademico, cioè dal medesimo ambiente di cui è figlio il premier Conte. Un doppio "tradimento", pienamente legittimato dai fatti. Gli strali si concentrano in particolare sul modo in cui il governo sta gestendo la seconda ondata e sugli scarsi interventi fatti per scongiurarla, a dispetto di annunci e promesse rassicuranti. Il filosofo Massimo Cacciari, uno dei più lucidi contestatori della combriccola Conte, ha definito «una sequela di errori clamorosi e manifesta impreparazione, il modo in cui è stata affrontata la fine della prima e poi la seconda ondata» e bollato come «provvedimenti e norme alla rinfusa» e «assurdità inapplicabili e incontrollabili» le decretazioni d'urgenza del premier, esplodendo infine in un grido liberatorio: «Basta, basta! Basta con questo delirio normativistico assurdo, con questo controllismo fuori senso!». Di errori e promesse tradite hanno parlato anche volti noti come Ferruccio de Bortoli e Mario Adinolfi, tra i primi firmatari di una petizione che ha rimproverato al governo «l'inefficienza, la disorganizzazione, la carenza di informazioni e assistenza» e l'«improvvisazione» nella gestione dell'emergenza. Il manifesto, sottoscritto da intellettuali di orientamenti politici diversissimi, da Marco Taradash ad Alessandro Campi, da Franco Debenedetti ad Alberto Mingardi, da Isabella Loiodice a Carlo Stagnaro, ha attaccato Conte&Co. per «non aver mantenuto le promesse del vaccino antinfluenzale», per «non aver raddoppiato le terapie intensive», per «i pochi tamponi», per «l'app Immuni inutile» e per aver «abbandonato il tracciamento». Da qui la conclusione drastica: «Ora non ci fidiamo più».

Fine delle illusioni - Doglianze simili aveva già avanzato un altro manifesto, promosso da Lettera150 e Fondazione Hume, e firmato da intellettuali liberali come Giovanni Orsina e Dino Cofrancesco, e scrittori, studiosi ed editori non certo sospettabili di simpatie sovraniste come Lidia Ravera, Susanna Tamaro, Elisabetta Sgarbi e Renato Mannheimer, che elencavano «le dieci cose non fatte» dal governo nel gestire l'epidemia, vedi Covid hotel, tamponi di massa e distanziamento sui mezzi pubblici. E additavano l'esecutivo per «gli errori commessi», «i tentennamenti» e «le distrazioni», con cui aveva ignorato «studi e documenti che in tempi utili indicavano quel che stava effettivamente accadendo». Tutto ciò ha palesato come la gestione italiana del Covid non sia stata affatto un modello, checché ne dicesse l'esecutivo. Lo ha fatto notare acutamente il corrispondente di Repubblica Federico Rampini, per il quale «l'Italia ha passato l'estate a cullarsi nell'illusione di essere "un modello", anziché studiare i modelli veri», cioè quelli asiatici. E lo ha ricordato sul Corriere della Sera Pierluigi Battista che, dopo avere elencato i mancati provvedimenti di Conte, dall'assunzione di più medici e infermieri a un numero maggiore di test rapidi, ha ironizzato: «E si permettono pure di fantasticare sul nostro "modello italiano"». Se qualcosa è stato fatto dal governo, è stato solo aver creato una situazione di democrazia sospesa, degna di una dittatura sanitaria, come la considerano altri intellettuali e scrittori insofferenti alla gestione contiana del Covid. Per il filosofo Giorgio Agamben in questi mesi abbiamo assistito a un'«inaudita manipolazione delle libertà di ciascuno» e a una «gigantesca operazione di falsificazione della verità». Ancora più duro è stato lo scrittore di sinistra Aldo Nove che ha parlato di «una dittatura in cui, se dissenti, ti fanno il Tso», di «una operazione di ingegneria sociale che stanno mettendo in atto per rincoglionire completamente le persone». E magari per sperare di restare al comando più a lungo e con poteri eccezionali, sebbene improduttivi. Quelli contestati dalla scrittrice Antonella Boralevi, secondo cui «il potere centrale ci tiene da un anno, come un regime sudamericano, in uno stato di emergenza», senza avere la capacità di «mettere il Paese in condizione di contenere il virus». Ma mostrandosi solo in grado di creare panico nella popolazione e fare terrorismo psicologico. Cosa di cui è convinto il sociologo Luca Ricolfi, per il quale «al governo resta solo l'arma di terrorizzarci e convincerci di restare a casa». O al più di intervenire con misure improvvisate, irrazionali e inutili. Quali il divieto di spostamento tra Comuni a Natale che l'ex magistrato Carlo Nordio, ai taccuini di Libero, ha inserito nell'elenco delle «assurdità» partorite dal governo, di quei «provvedimenti poco meditati» fatti «con l'emotività o peggio ancora con i pregiudizi burocratici». Il tutto aggravato da un approccio comunicativo schizofrenico, che ha ingenerato solo confusione nei cittadini: il premier, ha avvertito lo psichiatra Paolo Crepet, «ha una comunicazione da incubo: un giorno dice una cosa e un altro giorno ne dice un'altra». Questi fattori, anziché blindare Conte, lo hanno azzoppato, mostrandone l'inadeguatezza e l'inconsistenza politica. A denunciarlo di recente, in due editoriali pungenti, sono stati Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera ed Ezio Mauro su Repubblica. Il primo ha rilevato quanto «la capacità del governo di decidere sia diventata del tutto evanescente» anche per via del suo leader, che «non ha una forte caratura politica ma cerca di procurarsela, al prezzo di forzature, colpi di mano, personalismi, produzione di discorsi e documenti tanto lunghi quanto insignificanti, che sortiscono l'effetto di mandare in tilt l'attività di direzione del Paese». Il secondo ha evidenziato la sensazione diffusa di un «indebolimento del governo. La sua presa sul Paese è allentata. La sua capacità di decidere è ridotta». Della serie: accusano Conte di essere un despota, ma in realtà è debolissimo.

«Solo improvvisazione» - Così come è debole la sua strategia economica. Commentando la manovra finanziaria del 2021, alcuni prof universitari, aderenti al think thank Lettera150, ossia Fabrizio Antolini, Alessandro Boscati, Giampio Bracchi, Iacopo Cavallini, Mario Comba, Francesco Manfredi, Giuseppe Marino, Aldo Rustichini e Claudio Zucchelli, hanno partorito un documento in cui definiscono il disegno di legge di bilancio «un'occasione sprecata», in quanto «fortemente inadeguato a supportare il rilancio strutturale dell'economia»: i firmatari identificano le sue criticità soprattutto nella «parcellizzazione delle ingenti risorse messe in campo» che «risponde all'obiettivo di costituire un'ampia base di consenso», ma con un'«impostazione ideologica che brucia miliardi dei cittadini in maniera del tutto inutile al raggiungimento dell'obbiettivo di salvare dal fallimento l'economia italiana». Discorso analogo si potrebbe fare per il mondo dell'università del quale, fa notare Marina Brambilla, prorettore dell'Università Statale di Milano, «il governo non ha affrontato i problemi strutturali: i contributi straordinari servono a malapena per l'emergenza». O per il mondo della scuola: «Il governo», avverte il prof. Giuseppe Bertagna, ordinario di Pedagogia generale all'Università di Bergamo, «tira a campare. Ha speso soldi a debito per interventi emergenziali, come i banchi a rotelle, che hanno finito solo per incrementare i problemi strutturali del settore». A tirare le somme ci pensa il prof. Giuseppe Valditara, coordinatore di Lettera150: «Se il governo non riuscirà a fare un piano di vaccini efficace e a contenere la terza ondata, dovrà dimettersi. Ma già ora, a mio avviso, dovrebbe andare a casa, perché ha dimostrato, a fronte di una situazione drammatica, di essere guidato dall'improvvisazione, non avendo alcuna visione strategica e non riuscendo a fare le riforme di cui ha bisogno il Paese». L'avvocato degli italiani, insomma, ha perso la causa di fronte al tribunale degli intellettuali. Il professor Giuseppi è stato bocciato dai suoi stessi colleghi. Anche per questo Conte ha ormai i giorni contati.

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