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Conte e Casalino, con loro serve riscrivere la Costituzione: siamo diventati una Repubblica fondata sul mercato dei parlamentari

Giovanni Sallusti
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 Il governo Conte-Casalino-Mastella, nato ufficiosamente ieri nell'augusta aula senatoriale, ci offre una grande occasione storica. No, perdonate, non è ubriaco il cronista (forse è ubriaca la cronaca, ma è altra faccenda). Una tal compagnia di anime perdute e aggrappate allo scranno con lauto stipendio annesso ("governo", obiettivamente, è un po' troppo), una compagine così brancaleonesca asserragliata dietro la pochette avvocatizia di Conte, da oggi minoranza in Parlamento e da tempo iperminoranza nel Paese, rende non più procrastinabile un atto di chiarezza. Che non è secondario, ma riguarda le fondamenta della nostra Repubblica (delle banane, per quanto dopo il dibattito visto a Palazzo Madama sia precisazione pleonastica). Nientemeno, la riscrittura dell'articolo 1 della Costituzione, il primo mattone della casa comune. Per rimetterlo in connessione con la realtà, adeguare la solennità del documento alla lettera degli avvenimenti. Come sa chiunque (oddio, non mettiamo la mano sul fuoco per certi pentecatti, ma Wikipedia a quello serve), l'articolo 1 recita: "L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione". Come chiunque riscontra oggi, trattasi di un dettato superato, anacronistico, perfino teneramente velleitario nel suo palese cozzare contro l'intera tragicommedia del Conte 2/bis. Anzitutto in alcuni suoi singoli elementi dirimenti, a partire da quel "lavoro" che nell'Italia con la serranda abbassata, ridotta a landa di applicazione di Dpcm liberticidi e non-luogo di ristori immaginari, è un ricordo sempre più sbiadito. Per continuare con la "democrazia", quella parolina che come ben saprà il premier grecista (ad ogni discorso tiene a ricordare a se stesso di aver fatto il liceo classico, e spara una citazione in attico) implica una qualche forma, seppur mediata e non plebiscitaria, di "potere del popolo", mentre oggi il popolo non può nemmeno riunirsi, pena il reato pandemico di "assembramento".

 

 

EVOLUZIONE DEI POLTRONARI
Ma è proprio nella sua struttura sintattica e concettuale, che il glorioso incipit della Carta non tiene più, di fronte ai peones raccattati via Whatsapp da un ex concorrente del Grande Fratello, alla falsa evoluzione della specie dei poltronari (via via nobilitati come "responsabili", "costruttori", "volenterosi", in una presa in giro ormai esplicita del famoso "demos"), al nonsense mica male del Maie, rispettabilissimo Movimento Associativo degli Italiani all'Estero, che col suo pugno di parlamentari decide le sorti future della patria, quella dove non risiedono i suoi elettori. Fino, ovviamente, ai feticci per eccellenza di ogni crisi che si rispetti, i guardiani più (Liliana Segre) o meno (Mario Monti) venerabili della Repubblica il cui mandato senatoriale coincide letteralmente col vitalizio. A sovrintendere a tutto questo circo di nani politici, ballerine del bonifico, vestali esibite e trattative nascoste, lui: Clemente Mastella da Ceppaloni, specialista riconosciuto in transumanza parlamentare e doppio salto della quaglia con carpiato a prescindere dal consenso. Uno spettacolo già ammirato in passato, ma mai con uno scollamento così abissale e fin compiaciuto da quel tizio volgare e sudaticcio che si aggira per strada, l'elettore. È un bene, perché finalmente possiamo aggiornare l'articolo 1 della Costituzione: "L'Italia è una Repubblica oligarchica fondata sul mercato dei parlamentari. La sovranità appartiene ai senatori a vita, agli eletti all'estero e al sindaco di Benevento, che la esercitano nei limiti degli incarichi disponibili da distribuire".

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