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Domenico Arcuri mente sul numero di dosi del vaccino per nascondere la figuraccia

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Giovanni Sallusti
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Caro 2021, ho una richiesta modesta, eppure salvifica: liberaci del Supercommissario. Della figura tecnica e istituzionale, ovviamente, alla persona Domenico Arcuri auguriamo il miglior anno possibile, grazie anche all'improvviso tempo libero di cui potrebbe godere, non gestendo più centoventisette dossier senza risolverne uno, record mondiale che è già agli atti, non c'è bisogno di infierire. Il Supercommissario nostrano è una catastrofe nella catastrofe, rappresenta la pandemia politica, logica, perfino aritmetica. Ieri, intervistato dal Corriere della Sera, non esattamente un organo propenso alla critica dell'operato giallorosso (per dirla molto eufemisticamente), ha rottamato Euclide, e inaugurato una nuova matematica. Come mai per l'inizio della campagna vaccinale la Germania ha avuto a disposizione 150mila dosi e noi 9750, butta là la giornalista. Ed ecco il capolavoro: "Il numero di dosi simboliche per partire tutti assieme il 27 dicembre è proporzionale alla popolazione, la Germania ha avuto le stesse dosi o poco più". Conclusione del teorema arcuriano: data la differenza di siero in dotazione, la nazione teutonica avrebbe oltre 900 milioni di abitanti. Peccato ne conti 83 milioni.

 

 

A cui, con schema "proporzionale", dovrebbero corrispondere 12mila dosi, altro che 150mila. Non si sa dove il Supercommissario abbia studiato le proporzioni, e a questo punto anche le tabelline, ma doveva essere un alunno assai svogliato. Economia, in teoria, il nostro l'avrebbe masticata alla Luiss, eppure questo non gli impedì nel pieno della prima ondata di uscirsene con una genialata che contraddice il funzionamento elementare del mercato: fissare per legge il prezzo di un bene in regime di scarsità, allora le mascherine (50 centesimi), creando disagi a chi lo produce, a chi lo commercia e a chi vorrebbe acquistarlo. Nei giorni scorsi, Arcuri ha voluto ribadire la vastità enciclopedica del proprio sapere, regalandoci una verità infettivologica che non avremmo mai sospettato: "Il virus in sé non è preoccupante, lo diventa quando attacca il corpo di una persona". Ma qui siamo ancora al comico, seppure involontario. La faccenda si fa decisamente più tragica ogni volta che il boiardo di Stato (iniziò la propria carriera nel padre di tutti i carrozzoni, il prodiano Iri) sfoggia una specialità della casa, o della casta: l'arroganza ingiustificata. Ancora pochi giorni fa, al giornalista di La7 Carlo Marsili che nell'abituale conferenza stampa (concepita dal Supercommissario come una generosa comunicazione agli inferiori) gli chiedeva lumi sul caso delle siringhe acquistate, dal costo almeno doppio rispetto a quelle consigliate dalla stessa Pfizer, rispondeva come segue. «Penso di avere, ma di non aver voglia di divulgarle, comunicazioni sufficienti a giustificare, ammesso si debba giustificare, per quale strana ragione noi abbiamo comprato delle siringhe...».

Il povero Marsili prova a inserire un barlume di realtà nello sproloquio dadaista arcuriano: «Perché sono soldi pubblici, commissario...», ma viene subito zittito. Per il Supercommissario il denaro pubblico non è denaro dei contribuenti, a cui deve rendere conto (bestemmia da "liberisti da divano", direbbe lui accomodato nelle sue poltrone di Stato), ma una sorta di pozzo da cui attingere per stupire la cittadinanza con le sue (poco) mirabolanti imprese, a spese della medesima. Dopo la supercazzola estiva sui banchi a rotelle, presentati dal Supercommissario come la sparigliata per un ritorno a scuola in sicurezza (quando qualunque comune mortale avrebbe pensato a un potenziamento dei trasporti e degli spazi per le lezioni), recentemente è stata la volta dei gazebo per la campagna vaccinale a forma di primula, perché «l'Italia rinasce con un fiore». Chiaramente, da costruire ex novo. Chiaramente, con soldi pubblici, quelli che nel Monopoli di Arcuri, Conte e Casalino (forse il più ferrato in economia dei tre) non finiscono mai. In Germania, intanto, stanno vaccinando nei tanti poli fieristici e dell'eventistica inutilizzati da mesi, una soluzione proposta anche in Italia dalla Feu, l'associazione della Filiera Eventi Unita, ma era troppo elementare per il Supercommissario. Ecco, la Sua creatività ha già abbastanza segnato questo 2020, abbiamo perfettamente compreso (e ne avremmo fatto volentieri a meno, creda) di che cosa è (in)capace. Si riposi, e l'espressione buon 2021 potrebbe diventare improvvisamente più di un augurio. 

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