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Montecitorio ormai è ostaggio del M5s: povera Italia, come è caduta in basso

Giovanni Sallusti
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Ne avevamo il sospetto, ma da ieri è una certezza: le istituzioni non contano più un Fico. Scritto proprio così, maiuscolo, come il minuscolo personaggio che grazie all'irripetibile exploit degli improvvisati a Cinque Stelle nel 2018 è asceso al gradino più alto di Montecitorio. Da quel noto laboratorio istituzionale che sono i centri sociali partenopei alla terza carica dello Stato, non senza svarioni generosamente perdonati dall'establishment (memorabili il pugno chiuso in piena parata per il 2 giugno e le mani in tasca mentre risuonava l'Inno di Mameli durante una commemorazione di Falcone), e adesso regista irrituale di una crisi politica che, a proposito di natali napoletani, assomiglia sempre di più a una sceneggiata. Peraltro inedita nella storia della Repubblica. 

 

Non si era mai visto, infatti, un presidente della Camera che convoca e inaugura un tavolo tra partiti, con la missione sbandierata di partorire un programma di governo, quindi di fare delle scelte di campo, aderire ad alcuni valori e scartarne altri, schierarsi su alcune priorità e cestinarne altre. Insomma, quello che Fico ha aperto alla Sala della Lupa di Montecitorio è un gioco tutto politico, peraltro limitato alla metacampo di sinistra (che poi non è nemmeno "metà", stando a qualunque sondaggio, ma l'orientamento del popolo è ormai argomento démodé). Come avrebbe detto il pre-grillino Di Pietro, che c'azzecca lì la presenza, anzi la volontà preliminare, dell'arbitro? 

Come pensa costui di essere credibile, la prossima volta che in aula fischierà un fallo, sventolerà un cartellino, magari a un esponente della metacampo negletta, quella di centrodestra? Diciamolo senza bon ton istituzionale, visto che si tratta di un'anticaglia rottamata dai vertici stessi delle istituzioni: mandato esplorativo un corno. Quello conferito a Roberto Fico è un mandato per (ri)costruire un accordo interno alla compagnia giallorossa, è un mandato gattopardesco, la consegna che tutto cambi perché nulla cambi. Non esplora le possibilità del domino parlamentare, ne dà per scontata una e lavora perché le caselle s' incastrino con l'auspicio. Non è più la terza carica dello Stato, è il vice operativo di Peppino Conte. 

 

Né, per favore, possiamo nasconderci dietro l'ipocrisia che il nostro si è limitato a presiedere all'inizio i lavori, per poi allontanarsi e lasciare la palla ai partiti, che riferiranno a Fico come è andata al tavolo di Fico perché Fico ne tragga le dovute conclusioni. Abbiamo fatto strame delle istituzioni, conserviamo perlomeno il minimo sindacale di senso del ridicolo. 

 

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