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Pietro Senaldi su Mario Draghi: "Deve scegliere tra Lega e M5s". Il sospetto sull'operazione-Carelli

Pietro Senaldi
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Evviva, evviva, è arrivato Draghi; il numero uno, quello che è riuscito a convincere la Merkel che, se non lo stava ad ascoltare, la crisi di dieci anni fa sarebbe stata una Stalingrado anche per la Germania. I grandi giornali e le televisioni si spellano le mani per accogliere SuperMario, danno per scontato che i giochi siano fatti perché è arrivato il momento di essere responsabili. È lo stesso sostantivo che andava di moda una settimana fa per trovare i voltagabbana che dovevano consentire a Conte di sopravvivere. Due cose sono certe. La prima è che chi oggi fa il tifo per Draghi, a partire da Mattarella, dal Pd e da chi fa opinione, sono gli stessi che fino a ieri dicevano che la maggioranza giallorossa era la sola possibile, stava affrontando il virus a meraviglia e ci aveva procurato un sacco di soldi dall'Europa. La seconda è che, senza dubbio, la sola disponibilità di Draghi a scendere in campo ci ha liberati dall'incubo di Conte premier e Casalino portavoce di Palazzo Chigi. Le sicurezze però finiscono qui. Numeri alla mano, l'esecutivo del governatore è ancora lontano. Perché nasca, è necessario che la Lega non gli voti contro, ed è a dir poco grottesco assistere al coro progressista di quanti ancora martedì davano pubblicamente a Salvini del fascista-populista e ieri confidavano nel senso di responsabilità istituzionale dell'ex ministro dell'Interno. Se la Lega non ci sta, forse Draghi parte lo stesso, ma non si potrebbe più dire che è il governo di tutti per la salvezza nazionale. Sarebbe solo una soluzione politica.

 

 

 

Le carte sul tavolo

Vediamo le carte sul tavolo. L'appello di Mattarella non ha colto di sorpresa Draghi che, val la pena ricordarlo, due anni e mezzo fa sbloccò l'impasse del Parlamento con una telefonata a Giorgetti che diede il via libera al governo M5S-Lega. L'ipotesi di sostituire il Conte-bis con un esecutivo di salvezza nazionale guidato dal governatore era stata evocata già nel dicembre 2019 dal medesimo Giorgetti. Gira da un anno, e quando Renzi, prima di Natale, ha aperto la crisi, è diventata immediatamente concreta. È plausibile che SuperMario in queste settimane abbia fatto più di un giro d'orizzonte per non farsi trovare spiazzato dall'opportunità che ora gli si apre davanti e non finire come il suo valente collega Cottarelli, incaricato dal Quirinale ma rimasto con il trolley in mano. Draghi però di suo non ha un voto. Certo, può contare sul Pd, che fino a domenica giurava o "Conte o le elezioni", ma pur di restare nella stanza dei bottoni senza assumersi le responsabilità del potere si è subito allineato, ha ritrovato compattezza e ha riscoperto pure il talento di Renzi. Italia Viva ha già rotto le scatole abbastanza al Paese e non è pensabile che faccia le bucce anche al governatore.

Per Forza Italia, che non voleva le urne e ha sempre sostenuto, anche da sola, l'ipotesi del governo istituzionale, la soluzione Draghi è il massimo, tanto che Berlusconi ha già mandato avanti i suoi pretoriani a dire che SuperMario l'ha inventato lui, imponendolo alla Bce; il che è anche vero, visto che la sinistra voleva Bini Smaghi. Il punto è che queste tre forze di benpensanti, che Grillo riuniva sotto la sigla PdL e Pd-L, non sono maggioranza nel Paese. Hai voglia a dire che il populismo è morto. Stavolta l'elicottero del governatore per decollare ha bisogno della Lega, meglio se anche con Fratelli d'Italia, o di M5S. Il centrodestra è riunito in un costante vertice aperto nel tentativo di non spaccarsi. A parole, l'opzione preferita dai sovranisti è il voto, ma arrivarci bocciando Draghi non dà l'idea di portare bene. Si rischia l'ennesima accusa di essere sfascisti. In realtà solo la Meloni vuole fortissimamente le urne, mentre Salvini è tentato di fare un giro con SuperMario. I suoi elettori, i ceti produttivi del Nord, glielo chiedono; in più l'esperienza gli consentirebbe di darsi una ripulita dalle tossine putinian-lepeniste, passaggio fondamentale per far fare alla Lega il salto definitivo come partito affidabile di governo e alternativa istituzionale al Pd. Il timore però è che se Fdi resta da solo a destra all'opposizione, è possibile che aumenti ulteriormente i suoi consensi a scapito del Carroccio, che non sa se la via nuova gli porterebbe più o meno voti. Al momento la strategia è l'attesa: Salvini e Meloni aspettano di incontrare Draghi e valutarne i piani. Non escludono un'astensione benevola, per farlo partire. La mossa spaccherebbe il centrodestra, ma non in modo drammatico e solo a tempo determinato, però consentirebbe al governatore di iniziare con meno voti in Parlamento di quelli che aveva il defunto Conte. Matteo e Giorgia ipotizzano un governo a tempo, con vista elezioni, ma qui le cose si complicano, perché SuperMario ha altri progetti, vuol giocare la partita intera, non scampoli per uscire dopo il primo tempo.

 

 

 

L'operazione Carelli

Infine ci sono i grillini. Il guru Beppe ha dettato la linea: niente appoggio. È possibile però che il Movimento si spacchi. Fosse per Di Maio, Cinquestelle sarebbe già volato tra le braccia del banchiere. Non è escluso che l'addio di Carelli, fedelissimo di Luigino, a M5S sia una mossa concordata, un esperimento pilota per una prossima scissione. E qui rientra in gioco Conte, che si sente tutt' altro che finito. L'ex premier ha fatto in questi anni una buona semina dentro M5S e vanta nel Movimento più amici del ministro degli Esteri. Giuseppe spera che l'esperimento Draghi fallisca e che si vada al voto, così che lui possa presentarsi con il suo nuovo partito personale.

Tra le moltitudini parlamentari pentastellate, prossime alla disoccupazione, l'ipotesi è suggestiva, perché l'avvocato è l'unico che ha seggi sicuri da offrire. Il governatore lo sa e tenterà di cooptare l'avvocato di Volturara Appula, offrendogli un incarico di prestigio. Questo potrebbe far tentennare l'ex premier e indurre M5S a sostenere Draghi. A sinistra sono certi che l'operazione sia quasi in porto. Ma a quel punto la Lega si sfilerebbe, il centrodestra resterebbe compatto all'opposizione, l'orologio tornerebbe indietro e tutto si ricomplicherebbe. E si assisterebbe a un Draghi che accetta il ruolo di pennacchio di una ricostituenda alleanza giallorossa. Dio ce ne scampi, il governatore non merita di finire così una brillante carriera; e non sarebbe carino che dopo aver salvato l'Europa egli si prestasse a lasciare che, sotto il suo ombrello, i giallorossi continuino a massacrare l'Italia. Mattarella ha chiamato Draghi convinto che egli convenga all'Italia, ma Draghi ora, per partire, ha bisogno di convincere i partiti che anche a loro convenga sostenerlo. 

 

 

 

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