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Coronavirus, lo studio dalla Scozia: "Il lockdown peggiora dalla situazione". E il Paese è Covid-free...

Lorenzo Mottola
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Cosa direste se vi spiegassero che chiuderci in casa per un anno non è servito a niente e che anche i prossimi lockdown non faranno la differenza? Nel formulare la risposta vi invitiamo a evitare bestemmie ed espressioni da taverna. E vi informiamo che la possibilità che sia stato tutto inutile esiste. Si moltiplicano gli studi - elaborati da università, non da circoli di terrapiattisti - che contestano l'utilità di queste operazioni. Attenzione: tutto questo non c'entra nulla col negazionismo e non significa che le mascherine o il distanziamento sociale siano da scartare, tutt'altro. In discussione ci sono le chiusure "pesanti", le serrate di negozi e ristoranti perfino all'aperto e così via. Esattamente quelle misure che il governo italiano si sta preparando a varare, rispedendoci ai domiciliari almeno fino a Pasqua (inclusa) nella disperata speranza di voler frenare la terza ondata di contagi.

 

 

LA RICERCA USA
L'ultimo celebre studio pubblicato al riguardo è quello dell'università di Stanford, di cui si è parlato molto anche in alcune trasmissioni televisive. I ricercatori californiani hanno messo a confronto 10 Paesi. Alcuni, come il nostro, nei quali il governo ha scelto di imporre misure severe. Altri, come la Svezia e la Corea del Sud, nei quali è stata adottata una politica diversa se non opposta, con qualche divieto ma senza esagerare. Conclusione degli accademici: alla luce dei dati, non si nota alcuna sostanziale differenza negli effetti, il virus ha fatto il suo corso serenamente. Si sono visti picchi che poi sono stati riassorbiti. Gli scienziati nell'annunciare il risultato sembrano quasi dispiaciuti: «Non mettiamo in dubbio il ruolo di tutti gli interventi di salute pubblica o delle comunicazioni coordinate sull'epidemia ma non riusciamo a trovare un vantaggio ulteriore negli ordini di stare in casa e le chiusure dei negozi». Secondo gli studiosi americani il punto è che non si ravvisa «alcun effetto benefico evidente e significativo maggiore sulla crescita dei contagi in nessun Paese» con i lockdown.

L'ANALISI SUL REGNO
Un altro lavoro interessante è quello pubblicato a settembre dell'Università di Edimburgo, che ha concentrato la sua ricerca sul Regno Unito. L'autore, Graeme Ackland, sostiene che il "blocco nazionale" abbia avuto un effetto nel breve periodo, ma che lo stesso risultato si sarebbe potuto ottenere con misure più blande. Anzi: le politiche di Londra - che poi sono molto simili a quelle italiane - potrebbero aver reso il Paese più vulnerabile e addirittura aver determinato un numero di morti maggiore. Questo perché la durata della pandemia è stata prolungata. Secondo lo studio, al momento di riaprire, probabilmente si troverà nel Paese ancora una vasta percentuale di popolazione vulnerabile e un alto numero di infetti. E questo, dice Ackland, «porta a una seconda ondata di infezioni che può provocare più morti». Per lo studioso sarebbe stato meglio proteggere gli anziani e le persone vulnerabili, consentendo al tempo stesso ai giovani di tornare a vivere in un modo quasi normale. Con attenzione, ma senza esagerare.

 

 

LA RICERCA SCOZZESE
Il terzo studio che citiamo è stato pubblicato a ottobre su Lancet, rivista che ormai tutti gli ipocondriaci del Paese hanno imparato a conoscere: si tratta sostanzialmente della bibbia della divulgazione scientifica. L'analisi appartiene a un altro gruppo di ricercatori dell'università di Edimburgo e aveva l'obiettivo di valutare quali fossero le misure più efficaci per ridurre il famoso indice RT, quello sulla base del quale il ministero della Salute decide quali regioni chiudere e quali lasciare in libertà condizionata. Ovviamente, nelle prime posizioni troviamo tutti gli eventi pubblici con più di 10 persone (vietandoli l'indice si abbassa del 25%). Al secondo posto c'è la chiusura delle scuole, che in assenza di misure di sicurezza risultano delle vere bombe epidemiologiche (-15% se si sospendono le lezioni). Limitare la circolazione delle persone o costringerle a rimanere a casa invece parrebbe avere un impatto ridottissimo: rispettivamente 7% e 3%.

 

 

A FASCE
Ovviamente, nella comunità scientifica tanti hanno storto il naso leggendo questi studi. Alcuni virologi, come Ilaria Capua, chiedono anche oggi almeno due mesi di lockdown totale. Noi assistiamo al dibattito e poniamo semplicemente qualche domanda. Su Libero a dicembre avevamo provato a chiedere come mai in Abruzzo, l'unica regione che era rimasta in zona rossa, in una settimana l'indice Rt fosse sceso dello 0,25 mentre in Sicilia, che era zona gialla, nello stesso periodo l'Rt si fosse abbassato di più: ovvero dello 0,26. La zona rossa quindi a cosa era servita esattamente?

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