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Pietro Senaldi smaschera Massimo D'Alema: "Matteo Salvini squadrista? Da che pulpito". Cosa non ricorda

Pietro Senaldi
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Stringe il cuore vedere un duro come Massimo D'Alema nelle parti del vedovo inconsolabile. Il primo di una lunga serie di comunistoni truccati da democratici approdato a Palazzo Chigi senza chiedere permesso agli elettori è ancora in lutto per la dipartita del governo giallorosso. Soffre perfino più di Conte, che si è levato un peso e pensa già al futuro. L'ex premier e leader di Pds e Ds ha difeso il ministro della Salute Per consolarsi, il leader salentino concede interviste in cui, con linguaggio bolscevico, mena contro l'attuale esecutivo, facendo però finta di difenderlo. E così, per mostrare la propria solidarietà a Mario Draghi, il Baffino imbiancato sentenzia dalle colonne del Corriere della Sera che «questa destra becera rischia di logorare l'esecutivo». Colpa, neanche a dirlo, di Salvini, che attacca il ministro Speranza non perché ha fatto dell'Italia la terra d'adozione del Covid ma solo in quanto glielo impone «la squadristica e rozza cultura» che egli incarna e che «comprende l'insulto e gli attacchi fino alle minacce personali». Da quale pulpito. L'energumeno non tascabile D'Alema non è mai stato un fine dicitore. A farne le spese non è stato solo l'allora e attuale ministro Renato Brunetta, sfottuto per la grande aggressività e le piccole dimensioni. «La Lega è razzista», «Amato è un bugiardo poveraccio», «Renzi è disastroso e arrogante», «Berlusconi chi, quello che porta i tacchi alti?», «Io non odio Veltroni, ma lui è un finto buono, è un uomo di cinema che ha distrutto il Pd», sono solo alcune delle carinerie che l'ex segretario dei Ds ha riservato a nemici e amici.

 

 

QUANTI ERRORI
Talvolta la sua acidità si addolcisce in comicità involontaria, come quella volta in cui disse che «a Berlusconi non conviene entrare in politica, perché prenderebbe pochi voti e poi deve occuparsi dei suoi debiti». Sempre meglio della frase che gli viene attribuita sul desiderio di vedere Silvio in miseria che chiede la carità. D'Alema nega di averla detta; significa che, come Jessica Rabbit, lo disegnano più cattivo di quel che è. Baffino è così entusiasta di Draghi da non risparmiare fendenti a chiunque egli pensi che possa turbare il manovratore, incurante del fatto che così gli complica la vita, o forse perfidamente consapevole. D'Alema ha individuato il sabotatore in Salvini, ma il problema è che il premier non è d'accordo. Ieri SuperMario ha ribadito la sua fiducia di facciata al ministro della Salute, ma di fatto l'ha commissariato. Il banchiere dei tre mondi elogia Speranza a parole però ascolta Salvini nei fatti. È facile prevedere che i giornali oggi ne enfatizzeranno la difesa d'ufficio del leader di Liberi e Uguali, facendola passare per una delegittimazione del capo leghista. Tuttavia la verità è che la conferenza stampa di ieri è stata la consacrazione delle tesi di Lega, Forza Italia e Italia Viva, che l'hanno spuntato sulle riaperture in nome del sostegno alla crescita.

 

 

Draghi, smentendo di aver fatto appelli all'unità, perché «il governo è già unito», sembra aver voluto rispondere direttamente alle insinuazioni di D'Alema, che da anni ha fatto del rancore una professione. Per la verità, stavolta lo si può capire. Con il governo giallorosso l'ex segretario Ds sembrava tornato ai tempi in cui, da Palazzo Chigi, guidava la sola banca d'affari al mondo in cui non si parla inglese, come veniva definita la sua squadra di fedelissimi e amici. Da Roberto Gualtieri a Vincenzo Amendola, D'Alema ha perso posizioni importanti con il cambio di governo. Lo smacco più grande è stato il siluramento di Domenico Arcuri, la sua lunga mano sull'epidemia.

 

 

REGISTA OCCULTO
Con il precedente commissario straordinario regnante, l'ex capo dei Ds era una sorta di premier ombra, consulente e trova-robe, come quando intermediò, grazie ad aderenze cinesi probabilmente risalenti ai tempi di Mao, per garantire al Paese respiratori difettosi. La difesa di Speranza per Baffino è pure una difesa di se stesso. Se Bersani, per il ministro, è il papà buono che comprende e sostiene, D'Alema è lo zio ricco che consiglia e apre porte. Solo che il Conte Max, cognome e nome della coppia che menava il torrone al tempo dei giallorossi, i consigli del suo figlioccio Speranza li ha considerati sempre zero. Ammalatosi di Covid, l'ex premier si è ben guardato dal curarsi con la tachipirina di cui il titolare della Salute raccontava agli italiani meraviglie. Ha preferito riempirsi di antinfiammatori, come da protocollo di Giuseppe Remuzzi dell'Istituto Mario Negri, che il governo ha sempre scientificamente ignorato.

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