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Dove il vilipendio è lecito, lezioni di liberalismo all'Italia sul reato di opinione: perché non siamo liberi

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Giuseppe Valditara
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«È vero che non condanniamo più a morte gli eretici. Ma non rallegriamoci di essere ormai liberi anche dalla macchina della persecuzione legale. Esistono ancora sanzioni legali contro le opinioni, o perlomeno contro la espressione di opinioni, e la loro applicazione, anche nel nostro tempo, non è così priva di esempi da rendere del tutto impensabile che un giorno tali sanzioni potranno essere ripristinate in tutta la loro forza». Lo scriveva poco meno di 200 anni fa John Stuart Mill. 

Oggi torna in auge il dibattito sui reati di opinione. Occorre chiarire innanzitutto cosa s' intenda per reato di opinione. Intanto presuppongono l'espressione non di un qualsivoglia pensiero, bensì di un pensiero critico, e inoltre, per rendere punibili certi comportamenti, deve trattarsi di un pensiero che offenda valori morali, spirituali, ideali, ovvero che offenda determinate sensibilità. I reati di opinione presupppngono cioè norme poste a tutela di specifici valori e sensibilità, che sono di norma valori e sensibilità del pensiero mainstream, quello che oggi si dice altrimenti "politicamente corretto". 

I reati di opinione sono sempre stati lo strumento della egemonia culturale e politica dei totalitarismi, e per converso sono stati il bersaglio degli intellettuali liberali. Nei Paesi di antica tradizione liberale come Regno Unito e Usa non casualmente si arriva addirittura a rendere lecito il vilipendio. In Gran Bretagna l'ultima condanna per lesa maestà risale al 1840. Nel basso impero romano persino una martellata alla statua dell'imperatore constituiva un crimine, la maiestas, passibile di morte. In Iran addirittura le ingiurie a Khomeini portano in galera. 

Egualmente labile è il confine con i reati che costituiscono incitamento alla discriminazione. Cosa sia discriminazione è discutibile e ancor più cosa sia istigazione. Persino i libri vengono ora censurati. Al di là dell'episodio che ha coinvolto la biografia di Giorgia Meloni, è sempre più diffusa nelle università occidentali la condanna e la conseguente chiusura di corsi o il bando di libri che in qualche modo possano essere visti come pilastri culturali della cosiddetta egemonia "bianca", e più in generale della storia e dell'identità occidentali. Un tempo era la sinistra democratica e liberale a farsi garante della libertà di opinione, oggi che la sinistra sembra difendere il politicamente corretto culturale, chi prenderà in mano questa battaglia di libertà?

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