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Vittorio Feltri: "Tra sberle e somari, c'era una volta la scuola. E bocciare va fatto con giudizio"

 Vittorio Feltri

Vittorio Feltri
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Tornano le bocciature nelle scuole anche elementari? Aspettiamo tale decisione che comunque, se fosse presa, non ci coglierebbe impreparati. Perché ai nostri tempi la vita in aula non era bella come pensano i ragazzi di oggi. In certi casi era un inferno. Per dirne una quasi divertente: maschi e femmine si incontravano solo all'ingresso, poi erano soggetti a una netta separazione, le fanciulle nelle loro aule riservate, i fanciulli segregati in altre classi. Nessuno si stupiva. D'altronde pure in chiesa succedeva la stessa cosa: le donne a sinistra nella navata, gli uomini a destra. Ciò oggi fa ridere, allora, 50 anni orsono, era considerato pura normalità.

Ma torniamo alla scuola. I maestri e le maestre erano autentiche autorità e non c'era chi osasse disobbedire ai loro ordini perentori. Chi sgarrava finiva dritto dietro la lavagna, praticamente esposto alla berlina come un malvivente. Un miracolo accadeva sempre: gli alunni erano costretti, volenti o nolenti, a imparare a leggere e a scrivere in un decente italiano, benché ai tempi, almeno in provincia, il linguaggio più diffuso era il dialetto che nella testa dei bambini creava una confusione notevole. Gli insegnanti badavano molto all'igiene personale degli alunni. Coloro che si presentavano nei pressi della cattedra in disordine, spettinati e con le mani sporche, venivano redarguiti alla stregua di criminali. Volava anche qualche schiaffone incassato con rabbia repressa, direi con dignità.

 

 

Nelle valli bergamasche succedevano episodi incredibili. In un paesino, Bondo di Colzate, dove c'erano più mucche che cristiani, si registrò un fatto memorabile. Un bimbo, figlio di contadini che la mattina si alzavano presto per accudire al bestiame, soleva lavarsi poco o nulla giacché era solo in casa e si arrangiava da sé per prepararsi alle lezioni. La docente, trovandosi sempre davanti a un bimbo sporco, si irritava e compilava quotidianamente delle note di rimprovero destinate alla famiglia. Dopo aver ricevuto una decina di lagnanze, la mamma del ragazzino prese carta e penna e rispose in questo modo alla docente: signora maestra, mi pare che lei cominci a rompermi un po' troppo i collioni (sic), sappia che qui siamo sui bricchi e non sui marciapiedi di Milano. Frase storica.

 

 

In quel villaggio infatti esisteva soltanto una fontanella dove gli abitanti avevano facoltà di lavarsi. La polemica si chiuse. Nella stessa zona alpina si verificò un'altra vicenda da segnalare. Tema in classe: descrivi la tua insegnante. Un alunno, non certo rampollo della borghesia, poiché la maestra era priva di un braccio, scrisse che questa era una povera disgraziata. Ovvio, dalle mie parti chiunque fosse zoppo o mancante di un arto veniva comunemente chiamato disgraziato in quanto vittima di una disgrazia. Ma la signora in questione, con l'unico braccio di cui disponeva, il sinistro, riempì di sberle il discente, essendosi sentita offesa. Botte da orbi. Lo scolaro, rientrato a casa, raccontò la sua disavventura al padre, il quale, imbarazzato, non sapendo che dire se ne uscì con questa battuta degna di Totò: avresti fatto meglio a dire che la tua maestra era costretta a essere mancina. Geniale.

 

 

Ed ecco dimostrato che spesso i contadini hanno davvero il cervello fino, benché abbiano le scarpe grosse. Io alla scuola primaria non ero un fenomeno, me la cavavo vincendo la noia, facevo parte della nebulosa dei mediocri e non ho mai preso ceffoni perché ero abile a confondermi nella massa. La classe era composta da 32 alunni, tre o quattro dei quali venivano sistematicamente respinti in quanto poveri e privi di educazione famigliare. Ricordarli mi provoca ancora fitte di dolore al petto, non sapevano niente, erano smarriti, li avrei aiutati volentieri se non avessi avuto difficoltà ad aiutare me stesso. Quando il mio maestro, Natale Dolci, ci lesse alcuni brani del libro Cuore, un mio compagno, che si chiamava Gamba e ora fa il notaio, osservò: sarebbe meglio che certi racconti li ripassassero loro, quelli che insegnano a noi ragazzacci. In conclusione, bocciare gli asini può essere giusto, ma prima di farlo sarebbe opportuno sapere in quale stalla sono nati e cresciuti.

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