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Tunisino ammazzato a Bergamo, per la sinistra l'etnia conta solo se l'assassino è italiano

Giovanni Sallusti
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C'è un 19enne che a Bergamo ha commesso un delitto aberrante, ha accoltellato a morte un 34enne davanti alla moglie e alle due figlie. Il primo è italiano, il secondo è tunisino. Specifiche etniche totalmente irrilevanti, di fronte all'abisso dell'anima che spesso spalanca la cronaca nera. E invece, gli stessi maestri(ni) progressisti che, se gli eterni ruoli tragici vittima/carnefice fossero diversamente distribuiti nella storiaccia, ammonirebbero in via preventiva a rimuovere le nazionalità dal dibattito, ne fanno l'elemento chiave del loro chiacchiericcio social (chiamarlo "ideologia" sarebbe onestamente un caso di sopravvalutazione). Dice Enrico Mentana, che del finto terzismo sempre organico al politicamente corretto ha fatto un genere giornalistico, se non un'arte: «Ma se l'uomo ucciso fosse stato italiano e non tunisino, e l'assassino fosse stato africano e non italiano, quanti stentorei post, tweet e storie avremmo letto? Facciamo che da ieri i leader politici e gli autoproclamati opinion maker inaugurano una moratoria dei commenti a effetto su tutti gli episodi di cronaca, ponendo fine al loro uso strumentale?».

 

 

 

Un capolavoro ossimorico: chiede la fine della strumentalità mentre la esercita, rivoltando contro i "leader politici" (che sono sempre "certi" leader politici, ovviamente, e non hanno mai la sede al Nazareno, per capirci) l'orrore di Bergamo. Nello stesso solco Emanuele Fiano, un "moderato" di sinistra che raramente pratica la moderazione: «Un tunisino è stato pugnalato a morte da un italiano. Se fosse successo il contrario sai la mole di post e tweet e dirette e trasmissioni e telegiornali e prime pagine di quotidiani? E quante autointerviste di leader politici di una certa parte. È stato ucciso un uomo, marito e padre, a noi dovrebbe interessare solo questo dramma, non altro. Sempre». Bravo, sempre. E allora perché qui rimarchi il passaporto di accoltellatore e accoltellato? Perché lo politicizzi contro i tuoi avversari, che è esattamente ciò di cui li accusi, in un falò dadaista del principio di non contraddizione. Rinforzano il messaggio alcune seconde fila del radicalchicchismo: Goffredo Buccini del Corriere, Paolo Berizzi di Repubblica, perfino Nino Cartabellotta, il presidente della Fondazione Gimbe. Tutte varianti del teorema sghembo «l'assassino è autoctono, quindi la destra ha torto», col terzo che vuole stravincere e spara: «mi vergogno di essere italiano». Tutti insieme allegramente sguazzano nel controsenso mainstream, per cui predicano di non buttare il dramma in caciara politica proprio mentre ce lo scaraventano. Fare dell'essere italiano un tratto connotante dell'omicida è tecnicamente un salto (il)logico dall'inconfondibile aroma razzista, così come lo sarebbe se fosse marocchino, australiano, cinese (diverso se clandestino, ovviamente, perché lì non sarebbe in discussione la pigmentazione della pelle, bensì l'illegalità della sua presenza sul luogo del crimine, ma è un concetto troppo difficile per Mentana&c.). Ma, si sa, la logica nel Belpaese spesso non è che un'appendice della propaganda dei Buoni.

 

 

 

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