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Vittorio Feltri a valanga contro Papa Francesco: "Fa processare Becciu e poi dice che è innocente", c'è del marcio in Vaticano?

Vittorio Feltri
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Il caso Becciu si arricchisce di una dichiarazione molto importante del Papa. È accaduto su Radio Cope, l'antenna dei vescovi spagnoli. Giornalista: «Cosa teme di più? Che (Becciu) sia dichiarato colpevole o non colpevole, visto che lei stesso ha dato il permesso di metterlo sotto processo?». Francesco: «Va sotto processo secondo la legge vaticana. Un tempo, i giudici dei cardinali non erano i giudici di Stato come oggi, ma il Capo dello Stato. Spero con tutto il cuore che sia innocente. Inoltre, è stato un mio collaboratore e mi ha aiutato molto. È una persona di cui ho una certa stima come persona, quindi il mio augurio è che ne esca bene. Ma è una forma affettiva della presunzione d'innocenza, andiamo. Oltre alla presunzione di innocenza, voglio che ne esca bene. Ora spetta ai tribunali decidere». Presunzione di innocenza, come principio inderogabile. Rinuncia alle prerogative di Capo dello Stato, che in Vaticano vuol dire Monarca Assoluto, nella amministrazione della giustizia. Tutto questo è bellissimo. E allora perché ha consentito e anche in questo preciso momento sta consentendo che proprio il processo Becciu proceda con regole che ricordano i regimi degli ayatollah? Perché c'è questa distanza paurosa tra le affermazioni pubbliche, e di certo sincere, e le disposizioni da lui firmate che fanno a pugni con qualsiasi minimo sindacale di parvenza di giustizia? Presto o tardi le organizzazioni internazionali chiederanno conto della incompatibilità delle procedure processuali dello Stato Vaticano con gli standard della civiltà. Il rischio per il suo regno mondano (quello rinchiuso in meno di mezzo chilometro quadrato) è il totale isolamento, con l'esclusione dal circuito dei Paesi con cui siano consentite transazioni finanziarie.

 

 

 

Suprema potestà

Non possono esserci collaborazioni in campo giuridico con uno Stato dove i tre poteri coincidano con la "suprema potestà" di una sola persona. La quale con la dichiarazione radiofonica di cui sopra sconfessa l'esercizio della giustizia nei propri domini, dove ha cambiato a sua discrezione le regole, e annullato l'habeas corpus, vale a dire l'insieme dei principi elementari che tutelano libertà e inviolabilità di chi è accusato. Di questo si tratta infatti nel cosiddetto processo Becciu, al di là delle intenzioni cristalline che finiscono per lastricare l'inferno del diritto. Ho ammirazione per Francesco. Da ateo ho simpatia per lui. Ha sulle spalle un carico immenso. Ma stanno accadendo non nella Chiesa in generale (dove sta lottando con vigore contro la pedofilia del clero), ma nello staterello di cui è Monarca Assoluto, cose non dico turche ma talebane. Era stato Marco Pannella, per altro da Bergoglio molto lodato, a innalzare con Daniele Capezzone il cartello in piazza San Pietro «Vatican-Taliban». Siccome questo Papa ci ha abituato a gesti sorprendenti, mi aspetto atti sovversivi di Francesco versus il Papa Re, del Papa contro il Re. Come? Mi affido all'inventiva che ha consentito alla Chiesa di reggere, con tutti i suoi guai, per duemila anni. Non sto scrivendo per sensazioni, ma basandomi su atti, verbali e relative omissioni. Panorama, nel senso del noto settimanale, ha provveduto in queste settimane a togliere a Libero un'esclusiva. Meglio così. Non siamo più soli nell'udire cigolii da antiche macchine della tortura in Vaticano nella vicenda che ha portato, con inchini unanimi della stampa italiana, prima alla «crocefissione cautelare» del cardinale Angelo Becciu e ora al processo in corso contro di lui e altri nove imputati, in un frusciare di tonache e toghe dove il diritto alla difesa è calpestato con una cura che, se non ci fosse di mezzo il Papa (il cui «dolore» è citato dall'ex Guardasigilli italiana Paola Severino per giustificare gli abusi giuridici), direi diabolica. A partire dal 24 settembre del 2020 con la condanna urlata sui tetti con l'indagato consegnato al dileggio della folla e punito con i galloni ecclesiastici strappati mentre se ne sta inerme ad ascoltare una sentenza preventiva. Da novembre in poi abbiamo sviluppato una contro-inchiesta che non ha avuto alcuna risposta decente. Ed ecco Panorama che sulla copertina ha prima denunciato: «Il mistero del video fantasma» e poi: la «Tempesta di spie in Vaticano» (riprendendo anche documenti da noi scoperti e resi pubblici dopo che erano stati occultati dagli accusatori). Carlo Cambi ha raccontato come i pubblici ministeri vaticani (chiamati qui promotori di giustizia) abbiano tranquillamente disobbedito al loro stesso Tribunale, che aveva ordinato di depositare gli interrogatori video-registrati di monsignor Alberto Perlasca. Costui da principale indagato è passato in un battibaleno a vittima e grande accusatore pentito e quindi prosciolto da ogni accusa circa l'uso allegro dei denari della Santa Sede nell'acquisto del famoso palazzo londinese di Chelsea, costato tra i 200 e i 400 milioni di euro. Il prelato di curia si era ritrovato angelicato grazie a ore e ore di dichiarazioni in cui aveva demonizzato, senza contraddittorio, superiori (a cominciare dal cardinale Becciu), colleghi e consulenti, e pure in assenza dell'avvocato difensore - pur essendo in quel momento accusato - il 31 agosto del 2020. E poi ancora e ancora...

Rinvio a giudizio

Il 3 luglio del 2021 ecco il rinvio a giudizio in 500 pagine di requisitoria e 29mila fogli di documenti. In tutto questo mare di carte e chiavette Usb gli avvocati si sono accorti che mancava proprio la prova regina. Nessuna trascrizione letterale. Solo la sintesi a cura dei pm. Soprattutto niente video. In prima udienza il 27 luglio i difensori hanno sollevato il caso. Il pm (pardon, promotore di giustizia), professor Alessandro Diddi si è scusato, ha garantito che avrebbe rimediato. A questo punto il presidente del Tribunale, il dottor Giuseppe Pignatone, ha stabilito che entro il 10 agosto questo materiale probatorio fosse messo a disposizione della difesa. Sorpresa. Arriva la data ultimativa stabilita dal giudice. E i pm si rifiutano di farlo. Non intendono far acquisire al fascicolo del dibattimento le videoregistrazioni di Perlasca senza difensore, per evitare la «divulgazione» della sua immagine. Posso dirlo? È il colmo. Prima hanno tranquillamente consentito che la reputazione del cardinale sia vilipesa senza adottare alcuna indagine sulla fuga di documenti accusatori dal loro fascicolo su Espresso e Corriere della Sera, con accuse ignominiose. Dopo di che temono che gli avvocati consegnino a qualche televisione o sito internet la prova regina che si vorrebbe far valere come una pistola fumante?

 

 

 

Provvedimenti sovrani

Non solo, e questo Panorama non lo scrive, ma in quello stesso documento agostano i promotori di giustizia confermano che i quattro rescripta, cioè gli atti firmati dal Papa nel 2020, coi quali autorizza i pm a derogare dalle leggi vigenti, sono «provvedimenti sovrani», emessi senza richiesta scritta: pietre tombali del diritto, olé. Questo è il punto gravissimo, e che contrasta con l'affermazione del Papa sulla presunzione di innocenza. Il Santo Padre ha infatti emanato negli anni quattro testi che consentono di trascurare la legge, e di saltare il controllo che un giudice in qualsiasi Paese civile deve effettuare su atti che entrano nell'intimità o addirittura privano della libertà l'indagato. Il Papa ha detto che non c'è bisogno di alcun vaglio di un giudice (in Italia il Gip). Ma com' è stato possibile questo obbrobrio? Semplice. Pur essendo in deroga a qualsiasi legge vigente, quei rescripta papali sono intangibili in quanto emanazione di diritto divino. È questa la risposta data in aula il 27 luglio, tra lo stupore degli avvocati (e il silenzio dei giornalisti vatican-taliban presenti) il procuratore capo, professor Gian Piero Milano: «Sedes Prima a nemine iudicatur», cioè, traducendo in volgare dantesco: «Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare» (Canti III e V dell'Inferno). Ma noi, non essendo ancora stati traghettati oltre lo Stige da Caronte, ci permettiamo di auspicare da parte del grande scienziato cattolico Antonino Zichichi la pronta consegna della «macchina del tempo» a codesti Illustrissimi Signori. P.S. Per ora il Tribunale Vaticano non ha sollevato di peso i promotori di giustizia chiedendo loro di obbedire alle sue ordinanze. Del resto, per come vanno le cose da quelle parti, Milano e Diddi potrebbero benissimo sottoporre al Papa un altro rescriptum dove si consenta loro pure questa deroga. O Francesco terrà conto delle sue dichiarazioni evangeliche? 

 

 

 

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