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Vaccino e terza dose, ciò che non è stato detto ai cittadini: quella "verità mancante"

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Vaccino Johnson & Johnson

Iuri Maria Prado
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La realtà è che dirla tutta e chiaramente faceva male, e quindi si è preferito dirla a metà e confusamente. Cosa? La solita verità. E la verità era che l'uno-due del primo ciclo di vaccinazione costituiva un adempimento necessario ma non sufficiente. Quando questo è stato certo, tutto si è fatto tranne che divulgare quella certezza: si temeva infatti che il numero degli indecisi e dei riluttanti s' ingrossasse davanti alla scoperta che la prima coppia di inoculazioni dovesse essere sostenuta da un richiamo.

 

Un timore comprensibile, ma che non avrebbe avuto ragion d'essere se si fosse scelto di rappresentare il vaccino come un utile presidio, di documentata efficacia: che, come nel caso di tanti strumenti analoghi, abbisogna di aggiustamenti, manutenzione, calibrature. Si è scelto invece di farne un attrezzo simbolico e miracolistico, simile alla pozione di Obelix che non deve più assumerla perché ci è caduto dentro da piccolo.

 

Nell'idea, appunto, che se si fosse raccontata la verità - e cioè che non si trattava del siero che rende immortali, ma di un notevole aiuto a evitare guai - la campagna vaccinale sarebbe stata meno pervasiva e la quantità dei dubbiosi sarebbe aumentata. Piuttosto, sarebbe stato necessario dire ai cittadini che quanto era stato fatto ancora non bastava, e che occorreva ancora rimboccarsi le maniche. 

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