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Sciopero generale, Covid e assembramenti. Pietro Senaldi contro Landini: una mossa che gli costerà carissima

 Maurizio Landini

Pietro Senaldi
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Se la Cgil conservasse qualche aderenza con la realtà potremmo dire che lo sciopero generale di domani è il segnale che la battaglia contro il virus è definitivamente vinta e il peggio è passato, perciò ciascuno può tornare a occuparsi prevalentemente di se stesso. Purtroppo non è così, Maurizio Landini vive in un film ambientato negli anni Settanta e, all'indomani della proroga dello stato d'emergenza, con i contagi quotidiani stabilmente sopra ventimila e il governo che impone quarantene a chi arriva dall'estero e che si spinge a vaccinare i bambini, lui chiama il popolo in piazza.

 

 

«Un gesto politico», spiega il leader sindacale a chi gli chiede le ragioni della decisione, con l'economia in ripresa e le imprese che assumono. In effetti, meglio vanno le cose, peggio è per il sindacato, che finisce per non servire e non contare nulla. Landini è finito in un cono d'ombra, da quando Forza Nuova non gli vandalizza più le sedi sotto l'occhio vigile delle forze dell'ordine, intente a "controllare il movimento ondulatorio" dell'assalto, per citare alla lettera la ministra Lamorgese. Necessita di ritrovare visibilità e perciò, incapace di inventarsi qualcosa di nuovo e di meglio, ricorre allo sciopero, che gli consente anche di pestare i calli a Draghi, colpevole di avergli fatto annusare il profumo del potere, illudendolo di poter dire la sua sulla manovra finanziaria, salvo poi considerarlo punto come dicono a Firenze, ovverosia nulla.

 

 

Il segretario prova nostalgia per Conte, che invece lo aveva riammesso nei tavoli che pesano. Il Pd si è indispettito molto per la protesta sindacale, che considera alla stregua di un sabotaggio, eppure Letta dovrebbe sapere da tempo di avere in casa i nemici peggiori. Pure Draghi non ha gradito, imparando a sue spese che la Cgil è autoreferenziale e ingenerosa, anche con chi si è giocato un pezzo di storia correndo in piazza ad abbracciarla. Ma Landini ha ragioni che la ragione non ha. Prima, quella di sopravvivere a se stesso, costi quel che costi; e stavolta la mossa del capo sindacale rischia di costare carissimo. È neppure due settimane che ci siamo più o meno liberati delle piazze no vax, teatro principale dell'opposizione al governo negli ultimi tempi, e già ci ritroviamo alle prese con un altro agit-prop che convoca adunate che sono un invito al banchetto per il virus. Ironia della sorte, il comizio è fissato in piazza del Popolo, a Roma, la location preferita dai leader degli anti-iniezione.

Sì d'accordo, la Cgil fa sapere che stavolta è tutto diverso, i partecipanti alla protesta indosseranno la mascherina e saranno distanziati, ma una cosa è più impossibile dell'altra, a meno che l'appuntamento non si riveli un flop mondiale, cosa possibile ma certo non negli obiettivi degli organizzatori.

 

 

Strano percorso quello di Landini, passato in poco tempo da sponsor dell'obbligo vaccinale a nemico del certificato verde per lavorare fino, adesso, a organizzatore di pericolosi assembramenti, con tanto di spostamenti per tutta Italia di migliaia di persone affollate su treni e pullman. Intendiamoci, protestare è un diritto, nessuno intende sindacarlo, ed è risaputo che lo scopo principale dello sciopero è creare fastidi e disguidi al prossimo. Ma questa è la medesima logica che muoveva i portuali triestini e gli organizzatori dei cortei che per diciotto settimane consecutive hanno infelicitato i sabato pomeriggio dei milanesi.

Se Landini ambisce a fare il politico, come ha confessato, faccia quello responsabile e non corra il rischio di passare per untore pur di affermare se stesso. Anche i no vax, quando riempivano le loro piazze del contagio, ritenevano di compiere una protesta politica per la difesa della democrazia e della libertà individuale. Certo non vogliamo dire che il capo della Cgil è come Stefano "Ciccio" Puzzer, il leader triestino dei portuali no vax, come Landini peraltro vaccinato. Però per certi versi ce lo ricorda, anche se siamo certi che al successore della Camusso il Daspo non lo daranno mai, neppure se l'adunata di domani in piazza del Popolo dovesse rivelarsi il focolaio maggiore della storia della pandemia in Italia.

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