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Giorgia Meloni, Senaldi: "Fidanza non è un mostro, fanno bene a riabilitarlo"

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«Conosco Carlo Fidanza da trent' anni, vederlo raccontato come un mostro mi ha fatto male. Non mi capacito di come una persona della sua intelligenza abbia potuto commettere un errore del genere, frequentando certa gente. Ora è sospeso ma confido che abbia imparato la lezione». Piazza Pulita va in ferie per Natale e può così partire, da un'intervista di Giorgia Meloni su La Stampa, quella che ha tutta l'aria di essere una riabilitazione - sacrosanta dell'europarlamentare di Fratelli d'Italia, finito al centro di una campagna giornalistica grottesca, mirata a delegittimare, attraverso di lui, tutto il partito. La vicenda è nota: l'inchiesta durata due anni del sito Fanpage dalla quale sono emersi video in cui l'esponente di Fdi, in compagnia della candidata Chiara Valcepina, incontrava durante la campagna elettorale per le Comunali il neofascista milanese Roberto Jonghi Lavarini e scimmiottava il saluto romano, in segno di disapprovazione. C'è poi il tentativo di corruzione, con l'offerta da parte dell'inviato del portale web di pagare in nero un aperitivo elettorale. Fidanza nicchia, e questo è il video mandato in onda, poi rifiuta l'offerta in due successivi incontri, ripresi da Fanpage ma mai divulgati. Morale, un gran polverone mediatico, con la trasmissione di Corrado Formigli che rilancia tutto e imbastisce un processo per neofascismo alla Meloni, tallonata per mesi e punzecchiata quotidianamente per l'intera settimana di Atreju. Si muove anche la magistratura, ovviamente non per le accuse di apologia del fascismo, visto che sarebbero completamente campate in aria, ma per finanziamento illecito e riciclaggio. Non che queste incriminazioni siano più fondate, giacché non ci so no stati spostamenti di soldi né richieste da parte di Fidanza, e per di più ci sarebbero riprese che lo scagionano definitivamente (da qui l'insistenza della Meloni per poter visionare le famose «100 ore di gira to»), ma semplicemente per ché le allusioni della stampa progressita richiedono in questo caso un'indagine per esse re smentite.

I GIUDICI - «Attendo la magistratura ma sono certa che Carlo sia una persona onesta; non fosse così, cambierebbe tutto» mette la mano sul fuoco la Me loni. «Ho dato indicazioni pre cise di non aver rapporti con Jonghi Lavarini e persone come lui. Non ho cacciato Carlo perché credo che questa non sia sempre la soluzione miglio re» spiega la leader di Fratelli d'Italia, chiedendosi «cosa troverebbe il fior fiore del giornalismo se passasse le giornate a esaminare qualsiasi profilo de gli altri partiti». La sensazione è che il peg gio per l'europarlamentare che «ama Fdi e crede in quel che fa», come spiegato da Giorgia, sia alle spalle, ma questo non significa che il suo calvario sia terminato. La Meloni è legata a Fidanza, però l'incidente di Fanpage l'ha turbata moltissimo e irritata profonda Giorgia Meloni con Carlo Fidanza in una foto del 2014. «Non mi capacito», ha detto la Meloni alla Stampa parlando dell'inchiesta di Fanpage, «di come una persona di quella intelligenza sia stata capace di fare un errore del genere, frequentando quella gente» (LaPresse) mente, perché ha vissuto la leggerezza dell'ex rivale ai tempi della destra giovanile come una pugnalata che ha esposto lei e il partito ad accuse che la leader riteneva ormai definitivamente archiviate. Invece si è riaperto tutto e Giorgia ha avuto la sensazione che il lavoro di anni sia stato vanificato da un episodio. A giudicare dalle parole consegnate dalla leader alla Stampa, sembra però che alla fine il tempo trascorso, malgrado la violenta campagna mediatica pre-elettorale contro Fdi, l'abbia rafforzata nella convinzione che non è sufficiente un video di Fanpage per compromettere l'immagine del partito, e forse neppure quella di Fidanza.

LA TEMPESTA - L'esperienza insegna che in questi casi è meglio far fare un passo indietro a chi è al centro della tempesta (Fidanza per la prima volta non era presente ad Atreju) e stare il più zitti possibile finché le acque non si quietano. Adesso c'è ancora maretta, ma forse la leader di Fdi ha ragionato sul fatto che tanto, sull'argomento fascismo, calma piatta non ci sarà mai, perché è il tasto sul quale la sinistra batterà sempre quando i sondaggi premiano la destra. E allora, tanto vale affrontare il toro per le corna, anche perché, con il partito intorno al 20% e tutto il giornalismo progressista con i mitra spianati, prima o poi un caso come quello di Fidanza sarebbe comunque venuto fuori. Meglio adesso, lontano dalle elezioni e con il partito all'opposizione, in modo che possa servire da monito senza danneggiare più di tanto, piuttosto che tra un anno. La Meloni parla di «necessità di educare» e non di punire. E forse questo è il problema di un partito che è cresciuto alla velocità della luce, triplicando i voti in meno di due anni. La classe dirigente di Fdi non è fascista ma, poco avvezza al potere e alle alte quote e fondamentalmente popolare anziché populista, non è abituata a porre un filtro tra se stessa e la piazza. I vertici non hanno quella struttura di potere e di organizzazione che funge da scudo protettivo per gli elementi più rappresentativi, abituati in campagna elettorale a rimboccarsi le maniche e cercare i voti porta a porta, con tutti gli inconvenienti del caso. Attenti, si è diventati grandi. Questa è la lezione di cui far tesoro. Il fatto che il caso Fidanza si possa, come auspicabile, risolvere senza buttare il bambino con l'acqua sporca significa che il partito ha fatto la pelle agli attacchi degli avversari e il fascismo, e le relative accuse di neofascismo, non sono più un fantasma del passato dal quale prendere le distanze, ma sono diventate un corpo estraneo che come tale viene trattato. La condizione perché lo capiscano da fuori è iniziare a farlo all'interno e la riabilitazione di Fidanza è un passo in questo senso. 

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