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Dostoevskij, i suoi capolavori sono l'antidoto al "putinismo": vanno riletti, non cancellati

Giovanni Sallusti
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Leggete e leggiamo Dostoevskij, dannazione, si sta male a scrivere simili ovvietà. Di più, leggiamolo a maggior ragione ora, che dalla sua terra natia un signore, Vladimir Putin, sta dando una dimostrazione di cosa sia la volontà di potenza scissa da qualunque alterità umana, morale, metafisica, ovvero di nichilismo, il problema centrale nell'opera del grande russo. Perché è questo, l'elemento (tragi)comico che nessun burocrate dell'Università Bicocca sembra aver colto, mentre proponeva la censura delle lezioni di Paolo Nori su Dostoevskij, ovvero il fatto che proprio il suo pensiero costituisca uno dei più formidabili antidoti alla putinizzazione del mondo, e delle menti. Sì, lo sappiamo, c'è l'equivoca sentenza di Kissinger, secondo cui «per capire Putin bisogna leggere Dostoevskij». Ma le supposte analogie tra il pensatore e il tiranno sarebbero tutte di superficie, più evocative che di sostanza: un certo anti-occidentalismo e una certa insistenza sulla "missione" della Russia (che in Dostoevskij si deve però sviluppare verso Est, a «pacificare e civilizzare l'Asia», non verso Ovest, a invadere l'Europa). Ma nell'offensiva criminale del nuovo Zar è ovviamente assente qualunque afflato mistico-spiritualista, che viceversa era il tratto distintivo della Russia dostoevskiana.

 

 

POTENZA IMPERIALE
Putin vuole piuttosto, come tra gli altri sta spiegando mirabilmente in questi giorni l'ambasciatore Giampiero Massolo, restaurare la potenza imperiale dell'Urss. Rimpiange espressamente l'ordine totalitario sovietico (il cui crollo ha definito «la più grave catastrofe geopolitica del XX secolo»), ha svolto tutto il proprio apprendistato al suo interno (la sua stella polare rimane il Kgb, mica il Cristo dostoevskiano) e intende ripristinarlo, al di là della cornice ideologica, nella sua sostanza. Quella di uno Stato/Impero che auto-fonda la propria potenza senza riconoscere nulla al di fuori di sé, tantomeno nulla di trascendente. In questo senso, l'azione di Putin è un'apoteosi di nichilismo, e pare molto più curioso che forzato rileggere ante litteram tutta la sua formazione (dal Kgb alla dittatura personale) in queste parole di Piotr Verchovenskij, il capo della cellula "rivoluzionaria" nel capolavoro "I demoni": «Il sistema approva lo spionaggio. Ogni membro della società vigila sull'altro ed è tenuto a denunciarlo. Ciascuno appartiene a tutti e tutti appartengono a ciascuno. Tutti sono schiavi e nella schiavitù sono uguali. Nei casi estremi calunnia e omicidio».

 

 

I "casi estremi", nella storia putiniana, sono gli oppositori avvelenati, anche all'estero, o spediti nelle graziose "colonie penali", vedi buon ultimo Alexei Navalny. Tutto il progetto terrorista dell'uomo-Dio legittimato a creare il caos e inventarsi nuovi ordini raccontato nei Demoni (che sfocerà nella sentenza di Ivan Karamazov «Se Dio non esiste, tutto è permesso») lo potete ritrovare oggi negli ordigni termobarici sganciati da Putin, negli oltre duemila civili macellati, negli ospedali pediatrici e oncologici bombardati, nei proposti agitati di guerra nucleare da parte di questo autonominato e autoriferito Architetto del mondo. «Si crede a metà fra un imperatore e Dio», ha detto l'ex presidente ucraino Petro Poroshenko. Quindi, in ogni caso, nemico di quel Gesù Cristo illogico, controintuitivo, sublime, che si china sugli «umiliati e offesi» e che nei Karamazov si congeda baciando quel Grande Inquisitore che vuole esiliarlo dalla Terra, nella cui rivelazione consiste per Dostoevskij «l'essenza della vocazione russa». Rileggiamolo all'infinito, per l'amor di Dio.

 

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